Roma – Dietro la crisi sanitaria ed epidemica causata dal Covid-19 si affaccia una battuta d’arresto delle economia su scala mondiale. Degli effetti e degli interventi per contrastarla abbiamo parlato con l’economista Paolo Guerrieri, professore ordinario di Economia politica alla Sapienza di Roma, Visiting Professor presso Sciences Po, Paris School of International Affairs e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali.
Professore ci aiuti a definire il campo. Ci sono confini in questa crisi?
“Il contesto oggi è chiaro: questa epidemia parte dalla Cina e per un po’ sembrava confinata anche nei suoi effetti economici a quell’area. Poi la scena è cambiata rapidamente, ha coinvolto l’Europa e ora anche gli Stati Uniti. Dunque si è capito con ritardo che si tratta di una crisi su scala globale che ora si riversa pesantemente anche sul fronte economico e investe tutti. Poi si è aggiunta anche questa guerra del petrolio, che poteva avvenire in qualsiasi altra fase, e invece si è aggiunta oggi nel periodo meno opportuno e peggiora gli effetti della crisi epidemica. Gli shock sono dunque due con pesanti riflessi anche sul mercato finanziario, generando un fenomeno di grande preoccupazione. Non per abusare di definizioni eccessive ma si può dire che siamo in presenza di una tempesta perfetta“.
Ma possiamo ipotizzare dei tempi, un bilancio dei prossimi mesi?
“Fino ad ora si è capito che siamo di fronte a un impatto anomalo, una somma di effetti che provengono dall’offerta, con la chiusura di impianti nella prima area di contagio facenti parte delle catene globali del valore e poi un riflesso sulla domanda. Si produce di meno e con la mobilità limitata viene a mancare un aspetto fondamentale dei consumi personali e sociali (viaggi, intrattenimento etc.) che crollano. Un circolo vizioso su cui è difficile intervenire. Poi non sappiamo quanto durerà questa fase dell’epidemia ma sentendo gli esperti l’impatto in tutta Europa coprirà certamente il mese di marzo e aprile e toccherà il picco forse a maggio e dunque il fenomeno connesso della frenata economica riguarderà i prossimi due trimestri con un impatto diffuso sulle economie della zona euro e in parte degli altri stati dell’UE. La crisi scivolerà oltre l’estate con tutte le incertezze del caso ma naturalmente la durata e l’effetto di trascinamento economico dipenderanno da quello che faremo in questa fase”.
Il governo sta avendo un approccio modulare anche nello stanziamento di risorse in deficit. Lo ritiene un metodo corretto o meglio una terapia shock?
“Ci sono interventi necessari a livello microeconomico, su singoli settori e aziende ma altrettanto importante è quello macroeconomico, di sostegno alla domanda aggregata. E l’efficacia dei primi è facilitata da interventi permissivi dall’ambito comunitario considerata l’eccezionalità della fase attraversata. Se sostengo un determinato tipo di imprese devo essere sicuro che non verrò accusato di violare certe regole comunitarie (degli aiuti di Stato ndr), e dunque è importante la complementarietà di interventi dei singoli Paesi. Il limite che incontriamo come Italia nel nostro intervento a livello microeconomico è l’esiguo spazio fiscale. E se non saremo in condizioni di usare anche una leva di sostegno macroeconomico di natura fiscale, l’intervento micro non basterà a limitare gli effetti recessivi anche ci spingessimo fino al limite del 3 % del deficit. Ma in campo macroeconomico e fiscale la risposta deve venire a livello europeo e deve essere assai consistente e all’altezza dello shock economico che si sta annunciando. Poi, quando si stabilizzerà la fase economica si potrà tornare alle regole derogate”.
L’Europa almeno finora ha dato risposte deboli. Quando arrivano le emergenze vengono sempre fuori i suoi limiti di governance?
“Quello che si è visto finora è tutt’altro che rassicurante. Anche nella riunione dell’Eurogruppo i ministri hanno parlato molto ma per ora non hanno deciso nulla. La Commissione promette interventi ma quali strumenti ha per affrontare la situazione? Gli Stati non hanno voluto dotare l’Ue negli anni passati di strumenti di stabilizzazione macroeconomica per la contrarietà di alcuni come Olanda, Danimarca e in parte la Germania per interessi nazionali e perché non si fidavano. Così si rischia di ripetere gli errori del 2008-2009 e 2011-2012, allorché si intervenne troppo poco e troppo tardi. In settimana si aspettano decisioni dalla Banca centrale europea, perché anche se limitata da quanto fatto in passato la politica monetaria può ancora fare diverse cose. La Commissione a sua volta deve spingere a livello fiscale i Paesi membri nella direzione di interventi coordinati, che sopperiscano alla mancanza di un’azione comunitaria e sovranazionale. Mi auguro che ciò avvenga, in quanto consapevoli dei rischi del momento e conseguenti”.
Davanti a una crisi ci si interroga sempre non solo quante risorse destinare ma dove, cioè il come. In questo caso quali sarebbero le priorità?
“Bisogna prima di tutto impedire effetti di trascinamento a livello micro, ovvero imprese sane che finiscano per trovarsi in difficoltà devono essere aiutate a reggere fino alla fine dell’epidemia. Dunque, occorre intervenire nei loro rapporti soprattutto con le banche, con strumenti aggiuntivi di garanzia e mettendo gli stessi istituti finanziari nelle condizioni di poterlo fare con immissione di nuova liquidità da parte della BCE. È un aspetto molto rilevante per un tessuto produttivo come il nostro fatto di piccole e micro imprese. Occorre poi intervenire a sostegno dei consumi, con moratorie sui mutui e alleggerimenti degli adempimenti fiscali cosi dando tempo prezioso a chi lavora e consuma. Alla fine dell’epidemia ci sarà certamente un rimbalzo economico che sarà tanto più significativo quanto più riusciremo a metter in campo queste misure”.
Questo stop con un cambiamento radicale delle nostre abitudini sta forse suggerendo che servono interventi mirati come infrastrutture digitali più efficienti e diffuse sul tutto il territorio?
“Sì è certamente così, vale per l’Italia e anche per l’Europa. Abbiamo ragionato sui diversi interventi necessari a evitare il collasso ma sarà molto importante fare questi interventi in modo tale che ci si possa ritrovare in una situazione più avanzata rispetto a quella di partenza. In Italia c’è un forte ritardo in tema di digitalizzazione, tutti gli indici a livello europeo e OCSE ci mettono agli ultimi posti dei paesi più industrializzati per la poca diffusione e la scarsa competenza riguardo a queste tecnologie. Le cause dei ritardi sono molte, tra queste la pubblica amministrazione e i servizi, come grandi fonti di domanda. Sarebbe molto importante se si potesse trasformare questa crisi in un’opportunità e cambiare in meglio certi meccanismi, rimuovendo ostacoli che in parte sono culturali. Un esempio di questi giorni viene dall’insegnamento on line nelle scuole e nell’università, una necessità che ci spinge a sviluppare nuovi interventi virtuosi. L’Europa deve fare altrettanto, attivando nuovi investimenti per soddisfare i nuovi bisogni legati alla sostenibilità, creando opportunità e rilanciando la crescita. Per far questo servono naturalmente risorse importanti, così come per il Green Deal che poi è l’altra faccia della medaglia della rivoluzione digitale. In altri termini serve spendere di più e meglio, per sostenere piani a medio termine e generare sviluppo sostenibile e duraturo. Risorse aggiuntive ben oltre i pochi decimali di cui abbiamo sentito parlare in queste settimane. Senza questi interventi non ci si può illudere, la sola politica monetaria non basterà certo a rimetterci in piedi”.