Il virus che viene dalla Cina spaventa i mercati finanziari globali, ma forse la vera paura che corre sottotraccia a Wall Street è che un indebolimento dell’economia possa favorire il ‘socialista’ Bernie.
Come scrive Agatha Christie, una coincidenza è solo una coincidenza, ma due fanno un indizio. Per ora siamo al primo caso. Wall Street si fa prendere dal panico da coronavirus proprio mentre Bernie Sanders trionfa alle primarie in Nevada e si conferma frontrunner nella corsa alla nomination democratica per sfidare Donald Trump alle elezioni presidenziali del 3 novembre. Per capire se siamo all’indizio, e magari anche qualcosa di più, bisogna aspettare il 3 marzo, il super martedì, quando andranno a votare alle primarie democratiche ben 14 stati, dalla California al Maine passando per il Texas, da cui di solito esce il candidato che sarà incoronato sfidante dalla Convention democratica che si terrà a metà luglio a Milwaukee, nel Wisconsin. Che gli americani possano preferire il ‘socialista’ Bernie al capitalista Trump, che continua ad appuntarsi sul petto le medaglie di un’economia in salute, è altamente improbabile. Ma proprio le elezioni del 2016, che portarono The Donald alla Casa Bianca, insegnano quanto siano inaffidabili le certezze del giorno prima del voto.
LA DIFFUSIONE GLOBALE DEL VIRUS E’ UNA MINACCIA PER GLI UTILI DELLA CORPORATE AMERICA
Il virus spaventa Wall Street non perché si stia diffondendo in America, che per ora sembra tra i paesi meno colpiti, mentre l’allarme corre dall’Asia all’Europa, con epicentro Italia, passando per il Medio Oriente. Spaventa il mercato e gli investitori perché a fare le spese di una globalizzazione del contagio sarebbe prima di tutti la Corporate America, che con le sue multinazionali fa girare l’economia globale, e se questa frena bruscamente o finisce in recessione a pagare il conto sono i profitti delle grandi società quotate appunto a Wall Street. Infatti sulla Borsa di New York la prima sbandata è arrivata venerdì 21 febbraio, quando l’indice dell’attività economica dei servizi, che pesano più del 70% sull’intera economia a stelle e strisce, ha segnato il dato peggiore dalla grande crisi, a causa dell’andamento negativo dei comparti più esposti al virus, viaggi e turismo. Inoltre la borsa americana è paradossalmente più vulnerabile delle altre in giro per il mondo, perché ha corso di più negli ultimi 10 anni. E quindi può essere forte per gli investitori la tentazione di portare a casa i guadagni prima che venga giù tutto.
SE LA SITUAZIONE DOVESSE CAMBIARE E L’ECONOMIA INDEBOLIRSI, L’APPEAL DI SANDERS SALIREBBE
Ma cosa c’entra Sanders? Il perché lo butta lì all’ultimissima riga un editoriale del Wall Street Journal del 25 febbraio: se l’economia si indebolisce e la gente comincia a pensare che Sanders e con il suo programma socialista possa avere buone chance di vincere, allora potrebbe davvero scatenarsi il panico tra gli investitori e sul mercato. Finché la nave della prima economia globale va, e Wall Street festeggia con nuovi record, l’appeal di avere il primo presidente socialista degli Stati Uniti resta decisamente scarso. Ma se il coronavirus cambia le carte in tavola, allora l’appeal potrebbe diventare emotivamente forte. Gli americani si sono scottati con una violenta crisi, prima finanziaria e poi economica, solo una dozzina d’anni fa. Sicuramente un’esperienza che non vogliono ripetere. E potrebbero magari anche essere disposti ad accettare un po’ di tasse e un po’ di statalismo in più in cambio di protezione.
GLI AMERICANI HANNO UNA CAPACITA’ SPECIALE DI FRONTEGGIARE E RISOLVERE LE CRISI
Nell’era degli scambi finanziari governati da algoritmi le reazioni a catena tra aspettative e dati reali, tra emozioni, percezioni e realtà dei fatti possono produrre effetti inaspettati che magari il sistema non è pronto a governare immediatamente. Bisogna anche dire che gli americani hanno la capacità di prendere in mano e risolvere situazioni che in altri paesi sarebbero disperate e metterebbero in ginocchio per anni. Tra fine 2008 e inizio 2009 Tesoro e Federal Reserve rimescolarono in poche settimane il più grande e complesso sistema finanziario del mondo salvandolo dal collasso e mettendolo in condizioni di ripartire. In Europa, 12 anni dopo, stiamo ancora discutendo se e come si possano fare aggregazioni tra banche che fanno parte della stessa Unione ma non riescono a uscire dagli orticelli nazionali.
LA POSSIBILITA’ DI UNO SCENARIO 2016 INVERTITO CON IL MERCATO CHE PREZZA IN ANTICIPO LA SORPRESA
Ma nell’America di oggi la miscela di emozioni forti e percezioni ingannevoli può avere forte presa sui milioni di americani che andranno a votare per la prima volta. Le preoccupazioni causate da un deterioramento dell’economia potrebbero miscelarsi con i timori per il cambiamento climatico, spingendo la generazione che va a votare per la prima volta verso il consenso a Sanders. E forse potremmo anche assistere a uno scenario simile al 2016 ma invertito. Allora nessuno scommetteva un penny su Trump, e la sua vittoria a sorpresa fece partire un rally della Borsa che non si è ancora fermato, nonostante il virus. Questa volta i timori di vittoria di Sanders – parliamo ovviamente sempre del punto di vista di Wall Street – potrebbero invece incidere sul sentiment di investitori e mercato prima del voto. In questo caso nei prossimi 7 mesi non mancheranno turbolenze in Borsa, magari con qualche vuoto d’aria. Per ora abbiamo solo un mezzo indizio buttato lì dagli editorialisti del Wall Street Journal.