Roma – Possiamo fare come i britannici! In teoria certo che possiamo, ma la strada è molto più in salita di quanto si creda e non solo dal punto di vista degli equilibri politici. Uscire dall’Europa è uno slogan usato spesso a sproposito e infatti, dopo essere partito lancia in resta, Matteo Salvini corregge, precisa, minaccia e poi ritratta.
Smentito anche da uno dei suoi uomini più fidati come Giancarlo Giorgetti, domenica ha nuovamente corretto il tiro ma senza escludere il mai. “Non vogliamo uscire da niente e da nessuno, stiamo dentro per cambiare le regole che stanno danneggiando l’Italia. Ma se qualcuno ci mettesse davanti alla scelta prima l’Europa o prima gli italiani non ho dubbi che venga prima l’Italia”. Versione un po’ più articolata del “vorrei ma non posso” che accontenta un po’ tutti, quelli che credono che Bruxelles sia matrigna e solo una gabbia, e quelli consapevoli che con tutti i difetti, l’UE sia un porto più sicuro nel mare della globalizzazione.
Ma se davvero l’Italia volesse abbandonare il tetto europeo, cosa dovrebbe fare? Per evocare l’articolo 50 dei Trattati ci sarebbe bisogno di una legge ordinaria, da attivare però con un referendum consultivo o d’indirizzo, così come si fece nel 1989 con una maggioranza che sfiorò il 90 per cento e un’affluenza molto elevata.
Come i britannici dunque? Non proprio. Così fece Cameron ma in Italia per svolgere un referendum consultivo è necessaria una legge costituzionale perché questo istituto non è previsto dal nostro ordinamento. Così si fece nel’89 e di conseguenza per fare marcia indietro si dovrebbe fare altrettanto.
Poi si dovrebbe procedere per legge ordinaria così come si fece anche successivamente per il Trattato di Lisbona, ma su una semplice delibera parlamentare sorge un altro interrogativo. Il dubbio sulla sufficienza di questa procedura sorge davanti al primo comma dell’articolo 117 della Costituzione che regola fin dal principio le competenze legislative tra Stato e Regioni con l’Europa come terzo attore.
“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Si tratta di un passaggio tutt’altro che neutro che potrebbe anche far scattare la necessità di un ulteriore correzione costituzionale anche se l’Italia non ha mai formalmente inserito l’adesione all’UE nella Carta (se non in maniera indiretta) come invece è accaduto in Germania e in Francia.
A conti fatti, chiunque scriva in un programma elettorale l’obiettivo di un’Italexit, sappia che la strada sarà irta di ostacoli già nelle procedure. Oltre, naturalmente, a dover convincere i cittadini italiani della scelta.