Bruxelles – E’ una questione politica, che rischia di trascinare l’Unione europea verso il baratro fiscale per una questione di noccioline. A due giorni dal vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dell’UE convocato per discutere di bilancio pluriennale (MFF 2021-2027, in pratica la “legge finanziaria” dell’Unione), nessun progresso significativo è stato compiuto. Divisioni e stallo restano gli unici elementi di un negoziato tutt’altro che semplice.
Permane la tradizione contrapposizione tra Consiglio e Parlamento, con il consesso degli Stati che vuole budget più leggeri possibile e l’istituzione rappresentativa di tutti che chiede maggiori ambizioni. Ma restano le divisioni interne al Consiglio stesso. Austria e Paesi Bassi, assieme alla Germania, non vogliono spendere più dell’1% del proprio Reddito nazionale lordo per finanziare il funzionamento dell’UE. La proposta dell’1,1% messa sul tavolo della Commissione non piace, dunque.
In questo contesto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha dovuto rivedere l’insoddisfacente offerta della Finlandia – con la presidenza di turno fino alla fine del 2019 – con una proposta che sembra essere un buon compromesso. Anche se, va detto, tra i 1.134 miliardi richiesti dall’esecutivo comunitario e i 1.094 miliardi di euro chiesti da Michel la differenza è di 40 miliardi in sette anni (la differenza con la cifra richiesta dal Parlamento è invece considerevole: 230 miliardi). E’ su questo che si accapigliano gli Stati, innanzitutto.
I ministri dell’Economia hanno ribadito la necessità di un bilancio “prudente” ma comunque “con le risorse necessarie” già per il 2021, primo anno del nuovo ciclo finanziario. Una formula che esorta a garantire il minimo indispensabile, senza strafare. Ma bisognerà strafare, invece, se si vuole avere un budget già per il prossimo anno. Perché servirà un accordo complessivo sull’intero pacchetto 2021-2027, e la situazione non appare a portata di mano.
I cosiddetti “amici della coesione” (Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria) si oppongono ai tagli ad agricoltura e fondi per le regioni. Michel, in un contesto di riduzioni inevitabili, ha previsto il ‘principio di equità’ per destinare più risorse dalla regioni più ricche a quelle meno sviluppate. Ha offerto ai sovranisti di Polonia e Ungheria più fondi strutturali (i cinque programmi in cui ricadono le risorse di coesione), e mollato di fatto la presa sullo stato di diritto. Per avviare la proceduta che può portare anche alla sospensione del diritto di voto in Consiglio il meccanismo renderà più difficile l’adozione del provvedimento.
E’ stato anche concesso un miliardo e mezzo di euro in più all’Italia rispetto all’attuale ciclo di bilancio, così da non avere veti dei Paesi maggiori. Ciononostante il governo tricolore si reputa insoddisfatto dalla proposta, e i malumori italici si sommano ai tanti già presenti attorno al tavolo.
Ancora, si consente ai cinque Paesi che ancora godono di rimborsi (Austria, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svezia) di conservare il privilegio di indennizzo per il fatto di contribuire al finanziamento dell’UE. Anziché immediato, il taglio dei cosiddetti ‘rebate’ sarà graduale. Anche qui per piegare la resistenza di certe capitali.
A Bruxelles si ritiene che Michel abbia fatto un bel lavoro. Ci sono meno risorse di quelle chieste dalla Commissione, ma la struttura del bilancio, inteso come ripartizione dei soldi, consente di rispettare l’agenda politica dell’esecutivo comunitario. Nonostante tutti questo, permangono le riserve e le resistenze. E’ opinione che si possa trovare un accordo partendo da questa base negoziale, ma occorre fare in fretta, perché si è già in ritardo. E se non si chiude la partita negoziale quanto prima, si rischia di non poter finanziare alcun programma.
Il paradosso è che senza accordo di bilancio gli Stati comunque dovranno mettere il contributo nazionale, ma non essendoci una base giuridica che giustifica i pagamenti, l’UE non potrà erogare soldi se non per amministrazione e aiuti umanitari. Vuol dire niente coesione, niente Erasmus, niente difesa, niente di niente. Niente politiche UE il prossimo anno, senza un accordo. E dunque anche le linee guida del Consiglio per il 2021 perderebbero di significato. E’ quello che viene definito “scenario dell’orrore“, un vero e proprio baratro fiscale