Bruxelles – L’Italia non è un Paese per start-up. Le nuove iniziative imprenditoriali, qualunque sia il settore, sono poche. Colpa di un’economia già fortemente industrializzata o dell’incapacità a creare un terreno fertile per nuove piccole e medie imprese, da sempre il motore pulsante dello Stivale? I dati Eurostat non lo chiariscono, si limitano a fotografare una situazione che comunque non mette l’Italia in bella luce.
Nel 2017 il tasso nazionale di nascite aziendali, inteso come nuove aziende, è stato uno dei più bassi dell’Unione europea. Appena il 7,2% delle imprese complessivamente attive risulta rappresentato da nuove realtà, contro una media UE del 9,3%. Praticamente meno di un’impresa su dieci è nuova. Mercato stagnante, dunque, e in contrazione. Perché rispetto all’anno precedente, si registra un diminuzione del tasso di nascite aziendali dello 0,5%.
Nel complesso l’Italia, uno dei Paesi più industrializzati dell’UE e dell’Eurozona, occupa gli ultimi posto in Europa (22esima su 27) per quota di start-up. Il secondo Paese nella speciale classifica il Portogallo (19,7% sul totale attivo, praticamente due imprese su 10), uscito da poco da una crisi economica che ha richiesto il programma di aiuti internazionali e cure lacrime e sangue. Un dato che mostra una ritrovata fiducia e un ambiente più favorevole al fare impresa che in Italia.
Il dato però va letto anche sotto un’altra chiave. Per nuove imprese si intendono quelle con meno di tre anni di attività. Superato questo periodo, non si viene più conteggiati come “nuovi”, e dunque la diminuzione di questa quota implica anche che un certo numero di imprese ce la fa a restare sul mercato oltre i tre anni, e questa è una buona notizia. La riduzione del numero di nuove imprese però suggerisce anche che probabilmente mancano le condizioni che incentivino l’avvio dell’azienda.