Roma – I criteri e il percorso per aspirare a diventare un Paese Membro dell’Unione europea cambieranno ma non è detto che la revisione lanciata dalla Commissione provocherà particolari scossoni. Un cambiamento sollecitato dopo il congelamento delle due candidature dell’Albania e della Macedonia del nord che hanno subito il veto della Francia e dei Paesi Bassi. Italia in prima linea per sponsorizzare l’ingresso dei paesi dei Balcani occidentali per i quali ora comincerà un nuovo iter. Abbiamo chiesto a Matteo Bonomi, ricercatore dello IAI , con una lunga esperienza di analisi su questo argomento che cosa potrà cambiare nei prossimi mesi.
Intanto spieghiamo lo stato dell’arte. Le candidature di Albania e Macedonia del nord si sono interrotte a causa del veto francese e non solo . Il commissario ungherese Oliver Vàrhelyi ha annunciato un nuovo metodo di valutazione per il processo di adesione. Questo cosa significa?
“Nel caso di Albania e Macedonia del nord dovrebbe essere applicato il nuovo processo perché il negoziato ufficiale vero e proprio per questi paesi non è ancora cominciato. Nel caso di Serbia e Montenegro viene previsto che sia opzionale. In ogni caso dipenderà dalle decisioni intergovernative e del consenso di tutti gli stati membri”.
L’Italia con il premier Conte e il ministro degli esteri Di Maio stanno spingendo molto la causa dell’Albania e della Macedonia ma in genere di tutti i Balcani occidentali con Serbia e Montenegro. Si dice che l’ostacolo principale di questi paesi sia l’alto livello di corruzione. E’ così?
“Senza dubbio la corruzione è un ostacolo. Ma credo che il loro isolamento non serva a risolvere questi problemi che inevitabilmente si riflettono anche sui paesi confinanti come in questo caso l’Italia. Forse la strategia migliore è quella di rafforzare il quadro di collaborazione per arrivare a standard migliori del sistema giudiziario e di sicurezza, ed è proprio ciò che l’apertura dei negoziati di adesione permetterebbe di fare”.
Allora perché la Francia ha tirato il freno con Albania e Macedonia del nord?
“Più che per una preoccupazione per i Paesi candidati la Francia ha dato lo stop per altre ragioni. In parte per la frustrazione dello stallo sul processo di riforma dell’UE e più in generale per le ricadute interne che poteva avere questa decisione e che avrebbe fornito argomenti ai populisti”.
Cosa cambierà con il processo che regolerà i futuri negoziati annunciato dal Commissario ungherese. La procedura si semplificherà? I tempi saranno più rapidi?
“Non cambierà molto, io credo che si tratti più di un intervento cosmetico che sostanziale. Nella revisione del processo si raggruppano i capitoli negoziali, che verranno aperti assieme ma che continueranno ad essere chiusi singolarmente. Con la revisione saranno divisi in sei gruppi tematici e procederanno eventualmente anche in parallelo. Possibile che gli standard saranno abbassati nei prerequisiti per l’apertura di un gruppo di capitoli, anche se i Paesi aderenti avranno più peso durante il negoziato e da questo dipenderà una riduzione dei tempi o viceversa l’allungamento del processo”.
Almeno cambierà l’approccio?
“Uno degli elementi più interessanti e però anche controversi è il modo con cui la Commissione chiama i Paesi candidati a essere direttamente coinvolti e prendersi delle responsabilità nel processo di allargamento. Ora vediamo quale risposta da parte degli Stati membri avrà il nuovo documento sui nuovi negoziati, in particolare l’esito del summit internazionale di Zagabria dedicato ai Balcani occidentali e convocato per l’inizio di maggio”.
Guardando all’esperienza dell’allargamento a est del 2004, possiamo dire che si è guardato troppo alle riforme economiche e ai conti pubblici e troppo poco ai diritti, all’assetto istituzionale democratico e i suoi fondamentali?
“Io non credo. Forse siamo stati troppo entusiasti allora nel celebrare il successo di quando è avvenuto e oggi siamo troppo negativi nel valutare quel processo. L’allargamento all’Europa centro orientale ha avuto un grande significato, è stata una grande ancora di stabilità della politica economica e istituzionale di tutta quell’area. Forse abbiamo pensato che quel processo si potesse concludere rapidamente ma la transizione per i paesi ex socialisti è ancora in atto, mentre non è ancora avvenuta nei Balcani occidentali nei quali si sono sovrapposti anche scenari di guerra”.
La politica estera divide molto spesso l’UE. Chiedere ai Paesi candidati un maggiore “allineamento” sulla politica estera e di difesa è un criterio ragionevole?
“Ovviamente è difficile generalizzare, ogni Paese ha una storia a parte, per alcuni ci sono analogie, in altri pesa più il fattore interno. Dunque il processo di allineamento su questi temi può avvenire in maniera progressiva e completarsi alla fine dei negoziati”.