Bruxelles – Il futuro può attendere. Nelle relazioni post-Brexit che Londra e Bruxelles dovranno costruire pesa un presente incerto perché già carico di ostacoli. La generosa offerta dell’UE per un accordo di libero scambio non lo è poi così tanto, vista dall’altra parte della Manica. Il premier britannico Boris Johnson già rimette tutto in discussione. Agli europei del continente che chiedono reciprocità di trattamento e condizioni (il famigerato ‘level-playingfield, come si usa dire nella capitale dell’UE), l’inquilino di Downing Street che, testuale, “la parità di condizioni è un concetto dell’UE, non è un concetto generalmente accettato”. L’inizio non premette bene.
Johnson già critica l’UE e le sue proposte senza neanche essersi seduto al tavolo delle trattative. “Alcuni accordi di libero scambio contengono alcune disposizioni leggere in materia di concorrenza, sovvenzioni, ambiente e simili. Solo l’UE cerca di esportare le proprie regole in queste aree e sorvegliarle da sola”. Tradotto: il Regno Unito vuole soluzioni diverse. “La nostra posizione è che per ridurre le distorsioni commerciali non è necessario andare oltre il tipo di disposizioni che l’UE ha concordato con paesi come il Canada”. Si vuole dunque un modello CETA, che però è quello che non vuole l’UE.
Il trattato CETA dovette ricevere il via libera di tutti i Parlamenti nazionali, cosa che l’UE vuole evitare. Ma Johnson sembra vederlo diversamente. Il motivo è semplice: il premier britannico cerca strumenti che possano compromettere l’unità del blocco dei Ventisette. Ventisette Parlamenti nazionali implica altrettanti voti diversi in Paesi con sensibilità diverse. Basta lo stop di uno per bloccare tutto e ricominciare daccapo.
Proprio contro i Paesi membri del club di cui il Regno Unito faceva parte fino a pochi giorni fa, se la prende il premier britannico. Ricorda che in tema di aiuti di Stato, la Francia “investe il doppio” rispetto al Regno Unito e la Germania “tre volte di più”. Un modo per ricordare che se il rischio di concorrenza sleale esiste, è sul continente. Vero è, ricorda Johnson, che negli ultimi 21 anni l’UE ha applicato le norme sugli aiuti di Stato contro il Regno Unito solo quattro volte, rispetto alle 29 azioni intraprese contro la Francia, le 45 contro l’Italia e le 67 contro la Germania. “L’ansia dovremmo averla noi da questa parte della Manica, non voi”.
Poi c’è il problema, grande, della pesca, per la quale Bruxelles punta ad un accordo di lunga durata, e che invece da Londra si preannuncia di voler ridiscutere ogni anno, “per dare priorità alle esigenze dei pescatori britannici”.
I toni e le parole non fanno partire il negoziato nel migliore dei modi. Anche se, vale la pena ricordarlo, l’UE non sarà in grado di avviare trattative prima del 25 febbraio. I presupposti sono comunque di chiusura e di scontro.
A Bruxelles il negoziatore capo dell’UE per la Brexit, Michel Barnier, nel presentare le linee guida negoziali dell’Unione ricorda che il documento si riferisce a due testi: gli orientamenti fissati dai leader dell’UE in occasione del vertice del 29 aprile 2017 e riaffermati a dicembre 2019, e la dichiarazione politica sulle relazioni future. “Un documento importante – sottolinea Barnier – perché approvato in modo congiunto anche dal governo Johnson a ottobre 2019”. Lì si parla di reciprocità, concetto su cui Johnson sembra aver fatto un passo indietro.
E poi, si legge nelle linee guida negoziali del governo britannico come trasmesse al Parlamento di Londra, non c’è l’intenzione di seguire l’UE. “Qualsiasi accordo deve rispettare la sovranità di entrambe le parti e l’autonomia dei nostri ordini legali”, si legge nelle linee guida di Londra. Questo implica quindi che “non può alcun allineamento normativo, alcuna giurisdizione per la Corte di giustizia europea sulle leggi del Regno Unito o qualsiasi controllo sovranazionale in qualsiasi area”. Mentre Barnier ricorda che nel partenariato di sicurezza il ruolo dell’organismo di Lussemburgo deve essere mantenuto in toto.