Bruxelles – A quasi quattro anni dal referendum sulla Brexit (23 giugno 2016) promosso dal governo conservatore di Londra, a partire dalla mezzanotte (ora italiana) di oggi il Regno Unito non sarà più uno stato membro dell’Unione europea. Londra saluta Bruxelles dopo 47 anni di appartenenza alla comunità europea, di cui fa parte dal primo gennaio 1973.
Il nucleo originario dell’UE è costituito dalle comunità europee (Comunità europea del carbone e dell’acciaio, Euratom, Comunità economica europea) istituite nei primi anni Cinquanta. Sulle macerie della seconda guerra mondiale, Belgio, Italia, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno mosso i primi passi verso l’integrazione europea, mentre il Regno Unito ne rimase fuori.
L’ingresso del Regno Unito nelle comunità europee arriverà dopo quindici anni e non senza ostacoli. Durante il primo allargamento dell’UE, il primo gennaio 1973, al nucleo originario di sei paesi aderiranno Danimarca, Irlanda e Regno Unito, facendo salire a nove il numero degli Stati membri. Negli anni Sessanta ci furono due tentativi da parte di Londra di entrare a far parte della Cee (nel 1963 e nel 1967). Entrambi furono tentavi vani: l’ingresso del Regno Unito venne frenato da Charles de Gaulle, presidente della Repubblica francese del tempo, contrario all’allargamento dei confini europei per un paese come il Regno Unito che si era rifiutato nel 1957 di sottoscrivere il Trattato di Roma. De Gaulle rimase a capo dell’Eliseo fino al 1969, e dopo la sua morte (avvenuta l’anno successivo), ripresero le trattative per l’adesione di Londra alla Comunità economica europea. Stavolta con successo.
Oltre dieci anni di attesa alle porte dell’UE contribuirono a nutrire la diffidenza del popolo britannico nei confronti di Bruxelles. Appena due anni dopo l’ingresso nell’UE, nel 1975, il governo laburista di Harold Wilson (al potere dal 1974), ha indetto il primo referendum popolare britannico, ponendo ai cittadini il quesito: “Do you think that the United Kingdom should stay in the European Community (the Common Market)?” (Pensate che il Regno Unito debba stare nella Comunità europea?). Rispose Sì il 67,23 per cento dei votanti.
Dalla parte di chi voleva restare in Europa si schierò anche Margaret Thatcher, neo-leader del partito conservatore, nota ai più come la ‘lady di ferro’ e passata alla storia anche per le sue riserve nei confronti di Bruxelles e del progetto europeo.
“I want my money back” ovvero “rivoglio i miei soldi indietro” è il celebre slogan che accompagnò la battaglia di Thatcher nel corso dei negoziati sul bilancio europeo del 1984 (quando la leader conservatrice era anche primo ministro britannico). Nel vertice europeo di Fontainebleau, la Lady di ferro strappò agli altri leader europei il cosiddetto “sconto britannico” o ‘rebate’ sul contributo inglese al bilancio comunitario, ossia un rimborso a favore delle casse inglesi. In sostanza, uno sconto per la Gran Bretagna richiesto da Thatcher per la penalizzazione subita allora da Londra per la politica agricola comune (la Pac). Uno sconto ancora attuato a tutti gli effetti anche nel bilancio 2014-2020. L’anno successivo, 1985, nel corso del vertice di Milano a conclusione del semestre a guida italiana del Consiglio, i leader europei cominciarono a gettare le basi per un nuovo progetto di trattato comunitario.
In quell’occasione, Thatcher si oppose alla proposta del cancelliere tedesco Helmut Kohl di istituire una conferenza intergovernativa con un largo mandato riformatore dei Trattati di Roma. Decisivo allora fu il premier italiano Bettino Craxi che propose di votare la proposta tedesca e riuscì a farla passare a maggioranza (sette contro tre, tra cui la Gran Bretagna). Ne deriverà l’Atto unico europeo, operativo dal 1° luglio 1987, con cui si cominciò a parlare realmente di Unione europea e che porterà al completamento del mercato interno.
Gli anni Novanta segnano la riunificazione delle due Germanie, est e ovest, dopo il crollo del Muro di Berlino e la disgregazione dell’impero sovietico. Ma anche ulteriori passi compiuti verso l’integrazione europea: il 7 febbraio 1992 le comunità europee fino ad ora istituite confluiscono tutte nel Trattato di Maastricht, o Trattato sull’Unione europea.
Prima della sua sottoscrizione al trattato di Maastricht, Londra si era però assicurata di poter rimanere fuori dall’eurozona e di potersi tenere la sterlina. Proprio nel 1992 la moneta inglese fu costretta ad abbandonare l’Erm (European Exchange Rate Mechanism), ovvero degli accordi europei di cambio introdotti nel 1979, appartenenti al sistema monetario europeo, a causa di una forte speculazione finanziaria. Il 16 settembre 1992 viene ricordato come il “mercoledì nero”, che costrinse Londra a ritirare la sterlina dal sistema monetario europeo (Sme). Secondo molti anche questo ha contribuito a consolidare, soprattutto nel partito conservatore, maggiore diffidenza nei confronti dell’adesione a qualunque sistema monetario europeo.
A questo si aggiunge la ripresa di un diffuso sentimento di euroscetticismo, alimentato anche dalla nascita del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (Ukip), nato da una costola scissionista del partito conservatore inglese.
Data la crescente popolarità dell’UKIP e nel tentativo di ottenere il sostegno dei membri euroscettici del proprio partito, nel gennaio 2013 il primo ministro inglese David Cameron ha promesso un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’UE entro il 2017 se il partito conservatore avesse vinto le elezioni. Due anni dopo, nel giugno 2015, i conservatori si impongono come primo partito e Cameron torna a parlare del referendum sul futuro di Londra. Il secondo referendum si tiene il 23 giugno 2016: questa volta il risultato è diverso, il 52 per cento della popolazione sceglie di abbandonare l’Unione europea.
L’inizio di un nuovo capitolo. Londra e Bruxelles trattano per una Brexit ‘ordinata’ attraverso un accordo di recesso concordato dal governo britannico e dalla Commissione Europea e approvato sia dal Parlamento di Londra che dall’Eurocamera.