Roma – Inizia una nuova fase, “rassegno le dimissioni da capo politico del Movimento ma non mollo, resterò con voi”. Luigi Di Maio prende la decisione più sofferta ma che era nell’aria da diverse settimane. Si raccontava di troppe pressioni, di un incarico difficilmente compatibile con il ruolo di ministro degli Esteri e al termine di un lungo discorso davanti alla platea dei Parlamentari fa il gesto catartico di sfilarsi la cravatta.
Non prima di aver lanciato il suo j’accuse contro i nemici interni, “quelli che dalle retrovie hanno pugnalato alle spalle che hanno tradito non me ma l’intero movimento”, indebolendolo solo “per interessi personali”. La fronda interna dunque, quella che i fedelissimi indicano sia guidata da Alessandro Di Battista che starebbe da tempo lavorando sotto traccia per prendere il suo posto.
Così che nel suo lunghissimo intervento, la parola più citata è stata ‘fiducia”, quella che si è dissolta in chi ha lasciato, e quella, tanta, che resta tra di noi e nel Movimento che, dice Di Maio, “ha il sacrosanto diritto di governare per cinque anni e di essere giudicato dopo un’intera legislatura”. Dunque “il governo va avanti secondo il crono-programma che ci siamo dati” con Conte “la nostra massima espressione di una politica che da cittadino si fa Stato, per lui ho la massima ammirazione”.
Fase delicata, lo ammettono tutti, il leader assicura però che l’esecutivo resterà fuori dal questo passaggio. Ma l’interrogativo di questa scelta riguarda i tempi fatta a quattro giorni dalle elezioni regionali. Consultazioni che oltre alla Calabria investono l’Emilia Romagna, dove la Lega spera di espugnare quello che da sempre è un fortino della sinistra. Comunque vada, i risultati per il M5S non saranno neutri perché i malumori nei confronti del capo erano emersi fin dalla nascita del nuovo governo, negli ultimi tempi poi si erano fatti più insistenti, provocando quelle defezioni che oggi Di Maio mette sotto accusa, “divergenze per avere visibilità e per interesse personale”. Ma sono all’incirca una decina i parlamentari che finora hanno lasciato il gruppo (gli ultimi due ieri a Montecitorio) e che ora fanno temere per la tenuta della maggioranza, che al Senato ha numeri risicati.
Fino agli Stati generali, in programma a metà marzo, le sorti del Movimento saranno rette da Vito Crimi, il componente più anziano del Comitato di garanzia. Quella degli Stati generali sarà l’occasione per decidere se andare verso una gestione collegiale del M5S, come chiedono in molti, o nominare una nuova guida.
Una scelta che ” mi rammarica, ma è una decisione di cui prendo atto con doveroso rispetto” ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. “Rappresenta una tappa di un processo di riorganizzazione interna al Movimento ormai in corso da tempo e che, sono persuaso, non avrà alcuna ripercussione sulla tenuta dell’esecutivo e sulla solidità della sua squadra”.
Nel Pd si guarda alla delicata transizione che gli alleati stanno attraversano con apprensione e rispetto, e sostengono che questo passaggio non avrà effetti sul governo. “Non mi permetto di interferire, ma mi dispiace”, commenta il segretario Nicola Zingaretti, anche “perché si è avviato un processo politico che tiene. In ogni caso anche per il M5S è arrivato il momento delle scelte”.