Roma – Ogni intervento militare nel conflitto libico “favorisce solo gli interessi di attori esterni, le cui agende differiscono dalle nostre e che non hanno a cuore le stesse nostre esigenze di sicurezza”. Nell’Aula del Senato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, spiega la linea dell’Italia nella difficile crisi e critica le ingerenze esterne. Ma nonostante gli interventi decisi di Russia e Turchia e dell’imminente conferenza di Berlino fissata per domenica, la via d’uscita diplomatica trova ancora molte difficoltà. Il generale Khalif Haftar che comanda l’esercito nazionale libico dovrebbe mettere entro oggi la firma sulla bozza che prevede un cessate il fuoco permanente e il ritiro delle truppe, tuttavia una decisione in senso positivo è tutt’altro che scontata. La tregua per ora tiene ma resta molto precaria e la tensione nell’area resta alta. Secondo quanto riportato dal Guardian oggi, circa 2.000 combattenti siriani assoldati dalla Turchia sarebbero già in viaggio a sostegno del premier libico Fayez al Sarraj.
Gli “attori esterni” citati da Di Maio, non sembra stiano aiutando verso la strada diplomatica e le ultime provocazioni spingono il generale Haftar (che pure gode del supporto, anche militare di altri estranei al conflitto come Egitto e Arabia Saudita), a tenere le sue truppe in allerta con l’intenzione di consolidare l’avanzata verso Tripoli. L’uomo forte della Cirenaica ha comunque confermato la sua presenza alla conferenza di Berlino da cui le Nazioni Unite si aspettano almeno una tregua duratura la traccia di un percorso di stabilizzazione, eventualmente garantito dalla presenza di truppe di peace keeping. “Un inizio e non la fine dell’attività diplomatica” per citare il governo tedesco.
A Berlino gli inviti sono partiti diretti alle cancellerie di Usa e Russia, dei vertici delle istituzioni europee e di Italia, Francia e Gran Bretagna, della Turchia e dei Paesi prossimi, Emirati arabi, Egitto, Algeria, Unione africana, Lega Araba e Repubblica del Congo, e naturalmente per i due rivali Al Sarraj e Haftar. Inviti che non significano automaticamente presenze, “non diamo il dettaglio delle conferme” ha detto la portavoce del governo tedesco Urlike Demmer.
“Tocca all’Europa evitare che la Libia rimanga ostaggio di una competizione geopolitica tra attori anche lontani e, quindi, meno esposti alle conseguenze dell’instabilità” ha detto il ministro degli Esteri Di Maio nell’informativa al Parlamento in cui ha illustrato gli esiti degli incontri di questi giorni e la posizione dell’Italia nell’ambito delle crisi libica e di Iraq-Iran. Un passaggio in cui ha suggerito la necessità di una missione europea di “monitoraggio del cessate in fuoco, un passo importante per fermare le interferenze esterne, impedire il massacro di civili e dare all’UE un profilo unitario e un ruolo di primo piano nella crisi”.
L’auspicio per un ritorno di Bruxelles in un compito più incisivo, arriva anche dal vicepresidente dell’Europarlamento Fabio Massimo Castaldo che propone una missione di interposizione delle Nazioni Unite con la partecipazione in prima linea dei Paesi europei, primo fra tutti l’Italia, del vicinato come Tunisia e Algeria, di rappresentanti del mondo arabo e chiunque abbia a cuore il futuro del popolo libico”. Di un impegno della comunità internazionale anche sul fronte militare hanno parlato l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Joseph Borrell e il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che hanno convenuto per un approccio dell’Unione Europea “in qualità di security provider nell’area del Mediterraneo con una rilevanza strategica per la nostra sicurezza comune”, e per favorire “il rafforzamento del quadro di sicurezza interno in Libia”. Un impegno che secondo il ministro potrebbe prevedere “una riconfigurazione della presenza italiana” mantenendo i compiti di monitoraggio e per porre un freno al continuo afflusso di armamenti a favore delle fazioni in lotta”. Un richiamo diretto alla missione Sophia con Guerini che ritiene “vada fatto ogni sforzo perché le navi tornino a svolgere questo contributo essenziale per garantire l’embargo dell’ONU”.