Roma – Il controllo di Russia e Nazioni Unite per il cessate il fuoco, stop all’invio di militari turchi nell’area e progressivo ritiro delle rispettive milizie nelle caserme, per favorire la soluzione politica. Sarebbero questi punti principali dell’accordo che Fayez al Serraj e Khalifa Haftar sono chiamati a firmare a Mosca per chiudere le ostilità in Libia e favorire un processo di stabilizzazione. La trattativa, condotta anche dai ministri della Difesa e degli Esteri della Russia e della Turchia, ha vissuto nella prima giornata momenti molto delicati e in qualche caso con forti tensioni. Il capo del governo di accordo nazionale ha già firmato la bozza di accordo mentre il generale uomo forte della Cirenaica non intende ritirare le sue truppe e ha chiesto ancora tempo prima di accogliere le richieste. “Abbiamo fatto molti progressi, spero che alla fine la loro decisione sia positiva” ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Lavrov. “Se non firmano alla fine si saprà chi non vuole la pace in Libia”, ha detto l’ambasciatore libico presso l’UE Hafed Gaddur.
Il Libia la sottoscrizione della tregua tra le due fazioni, oltre che aprire alla strada della diplomazia, sancisce il decisivo intervento di Vladimir Putin nella crisi e di conseguenza colloca in un ruolo marginale le istituzioni europee. Tra gli Stati nazionali solo la Germania sembra essere entrata nella partita, confermando, dopo l’incontro con il capo del Cremlino, l’organizzazione in tempi molto rapidi della conferenza di Berlino. Marginali anche Italia e Francia che avrebbero i maggiori interessi in un processo di stabilizzazione i cui esiti sono tuttavia incerti. La data, su cui non c’è ancora l’ufficialità sarebbe quella del 19 gennaio e anche se il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert non l’ha confermata, ha spiegato che “i preparativi sono in dirittura d’arrivo”.
A Bruxelles sembrano soffrire la posizione defilata e a partire da questa fase i vertici dell’Unione europea sarebbero pronti a svolgere un ruolo internazionale più forte per non subire gli eventi ma gestirli. Tuttavia l’assenza delle istituzioni in questi giorni è stata avvertita pesantemente, ammessa anche dalla presiedente Ursula von der Leyen che nei giorni scorsi aveva rimandato alle responsabilità degli Stati nazionali.
L’ipotesi di una missione di peace keeping ventilata nei giorni scorsi viene considerata ancora prematura anche se non da escludere, secondo quanto emerge da fonti vicine al presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Viene poi spiegato che se c’è l’impressione che alcuni Stati membri, tra cui Germania, Francia e Italia, non abbiano la stessa posizione sulla Libia, c’è comunque un interesse comune per la stabilità, la sicurezza e la necessità di prevenire nuovi conflitti.
Sarebbe questo lo slancio, il passo in avanti da sostenere per evitare che la prossima conferenza di Berlino abbia gli esiti deludenti già sperimentati a Palermo 15 mesi fa e dunque per evitare assenze determinanti si lavora in questi giorni all’agenda e agli inviti. In questa fase l’Europa può giocare un ruolo importante utilizzando gli strumenti di convincimento più propri delle sue istituzioni come la politica di vicinato, per lo sviluppo e sulla migrazione.
La frenetica girandola d’incontri diplomatici di questi giorni del presidente del Consiglio Michel intorno alla crisi libica, ha consentito maggiore agibilità diplomatica alle cancellerie degli stati membri. Oggi il premier italiano Conte è volato ad Ankara per incontrare il presidente Recep Tayyip Erdogan, e ha sostenuto che la tregua “è soltanto il primo step su cui non possiamo cantar vittoria e il cessate il fuoco può risultare una misura a molto precaria se non inserito in uno sforzo della comunità internazionale per garantire la stabilità in Libia”. Un percorso condiviso con il presidente turco che ha auspicato una “tregua duratura” e assicurato l’impegno della Turchia affinché a Berlino si possano “mettere le basi per un ritorno alla pace”.