Bruxelles – Livello di lavoratori impiegati nel settore minerario di carbone e lignite, intensità di carbonio (e dunque emissioni di CO2), livello di produzione di torba. Questi i criteri per accedere ai fondi che l’Unione europea metterà a disposizione attraverso il Just Transition Fund, il fondo concepito per finanziare il piano per la sostenibilità (Green Deal) al centro della politica del nuovo esecutivo comunitario. Condizioni utili a capire chi potrà essere in grado di accedere ai fondi. In un documento interno della Commissione vengono individuate 50 regioni in 18 Stati membri. Per l’Italia individuate quattro regioni, di cui non si fa il nome. Il motivo? Saranno gli Stati membri a decidere a chi dare soldi.
La Commissione UE, nella proposta che presenterà la prossima settimana, ha voluto lasciare discrezionalità ai governi, come contropartita per le tensioni negoziali sul nuovo bilancio pluriennale (MFF 2021-2027). Il nodo è quello dei contributi. Non si vuole mettere mano al portafogli, ma il team von der Leyen si gioca tutto sul finanziamento del Green Deal, e pur di evitare brutte figure lascia mani libere ai governi.
Tuttavia l’identikit fornisce indicazioni su dove potranno finire le risorse. Per l’Italia le indiziate sono Puglia, Sardegna, Piemonte e Lombardia. Il fondo per la transizione intende finanziare il passaggio da modelli economico-produttivi inquinanti a modelli nuovi. In Puglia c’è la questione dell’Ilva, il secondo polo siderurgico d’Europa. In Sardegna c’è il polo petrolchimico di Porto Torres e tutta il tessuto minerario da sostituire. Piemonte e Lombardia sono le regione dove si concentra il grosso dell’industria, e non a caso sono le regioni che più di altre risentono del problema delle PM10, le polveri sottili prodotte dall’inquinamento atmosferico.
Sembra dunque un percorso tracciato, e che mette d’accordo in nord e il sud del Paese nei limiti del possibile. Il Just Transition Fund intende sovvertire il paradigma tutto comunitario di sostegno a piccole e medie imprese e start-up. Anche le grandi industrie potranno accedere ai fondi UE, dietro presentazione di piani di riconversione credibili. Dove si concentrano le grandi industria in Italia? Il Mezzogiorno dunque potrebbe vedersi sottrarre fondi, tanto più che le regioni più ricche del Paese contestano da sempre la generosità dell’Europa nei confronti del Meridione. Riferimento ai fondi strutturali e di coesione, destinati ai meno ricchi.
E’ proprio la dicotomia ricchi-poveri che trova una paragrafo specifico nel documento interno della Commissione, che Eunews ha potuto visionare. L’assenza di ogni riferimento al criterio della ricchezza pro-capite, indicatore tradizionale usato nelle politiche di coesione, potrebbe portare ad una distribuzione delle risorse percepita come iniqua. Il patto per la sostenibilità ambientale rischia di essere insostenibile a livello sociale, dunque, andando ad aumentare chi è già avvantaggiato a scapito di chi vive situazioni più svantaggiose.
La direzione generale per le Politiche urbane e regionali (DG Regio) mette in guardia anche dai rischi legati al sostegno alle grandi industrie. Un siffatto sussidio potrebbe avere percezioni negative con le relative conseguenze politiche. Ma politica è la questione di tutto. Da una parte è vero che più un gruppo è grande e più inquina, e quindi più c’è bisogno di più transizione verso nuovi modelli produttivi. Dall’altro se tutto è lasciato agli Stati, come sembra, sarà tutto frutto di decisioni politiche.
Il secondo beneficiario del nuovo strumento finanziario europeo sarà la Germania. La prima economia dell’Eurozona gioverà del Green deal più di altri. Otto regioni identificate. Berlino vuole regole sugli aiuti di Stato chiare e in grado di poter aiutare le transizioni delle aziende nazionali ritenute più strategiche.
C’è poi il vero nodo dell’intera vicenda. La Commissione nella versione iniziale del progetto aveva indicato in 35 miliardi di euro le risorse per il fondo di transizione. La prossima settimana dovrebbe comparire la cifra di 100 miliardi. Tutte risorse che però non ci sono. Ci sono solo i contributi della politica di coesione (5 miliardi dai prossimo programmi, 5 miliardi da fondi esistenti già ri-orientati, 5 miliardi di co-finanziamento nazionale), previsti in aumento (la quota 5-5-5 dovrebbe arrivare a 7-7-7 miliardi). Il resto sono operazioni finanziarie frutto di garanzie ed effetti leva. Le regioni temono uno scippo dai fondi di coesione.