Bruxelles – L’Avvocato generale Campos Sánchez-Bordona propone alla Corte di Giustizia europea di dichiarare che la normativa italiana che impedisce a Vivendi di acquisire il 28% del capitale sociale di Mediaset è contraria al diritto dell’Unione
“Tale normativa – spiega una nota – ostacola la libertà di stabilimento in maniera sproporzionata rispetto all’obiettivo di tutela del pluralismo dell’informazione”.
Nel 2016, la società francese Vivendi SA, al vertice di un gruppo attivo nel settore dei media e nella creazione e distribuzione di contenuti audiovisivi, avviava una campagna ostile di acquisizione di azioni di Mediaset Italia Spa, società controllata dal gruppo Fininvest, giungendo ad acquisirne il 28,8% del capitale sociale, pari al 29,94% dei diritti di voto.
Mediaset denunciava quindi Vivendi dinanzi all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, accusandola di aver violato la normativa italiana la quale, al fine di salvaguardare il pluralismo dell’informazione, vieta a un’impresa di realizzare, direttamente o indirettamente, attraverso soggetti controllati o collegati, oltre il 20% dei ricavi complessivi del cosiddetto “Sistema integrato di comunicazioni” (SIC) . Tale percentuale si riduce al 10% se l’impresa detiene nel contempo una quota superiore al 40% dei ricavi complessivi del settore delle comunicazioni elettroniche in Italia. Ciò avveniva nel caso della Vivendi, che già occupava una posizione rilevante nel settore italiano delle comunicazioni elettroniche, in virtù del suo controllo su Telecom Italia SpA (TIM).
Nel 2017, la AGCom accertava che Vivendi, avendo acquisito le partecipazioni in Mediaset, aveva violato la normativa italiana e le ordinava, pertanto, di cessare la violazione.
Pur ottemperando all’ordine dell’AGCom, trasferendo ad una società indipendente la proprietà del 19,19% delle azioni Mediaset, Vivendi impugnava la delibera dell’AGCom dinanzi al Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio, chiedendone l’annullamento. Il TAR, in sostanza, chiede alla Corte di giustizia se la normativa italiana che limita l’accesso al SIC delle imprese attive nel settore delle comunicazioni elettroniche sia compatibile con il diritto dell’Unione.
Nelle sue conclusioni di oggi l’Avvocato generale Manuel Campos Sánchez-Bordona ritiene che, per questa causa, occorra valutare se la normativa italiana sia compatibile con la libertà di stabilimento (articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE),
poiché la controversia tra Vivendi e Mediaset ha come sfondo la volontà del gruppo francese di
intervenire nella gestione di Mediaset ed acquisire una quota significativa del mercato italiano dei media e non soltanto quella di realizzare un mero investimento di capitali.
L’Avvocato generale rileva che varie disposizioni della normativa italiana limitano la possibilità
che imprese di altri Stati membri entrino nel settore italiano dei media, incidendo così sulla
libertà di stabilimento, ed osserva, inoltre, che la tutela del pluralismo dell’informazione (articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) costituisce una ragione imperativa di interesse generale, la cui tutela può giustificare, in astratto, l’adozione di misure nazionali che limitano la libertà di stabilimento.
L’Avvocato generale ritiene che, in linea di principio, la normativa italiana sia idonea a conseguire tale obiettivo, quantomeno in teoria, in quanto impedisce che un’unica impresa acquisisca, direttamente o tramite proprie controllate, una quota rilevante (superiore al 20%) del mercato dei media e che le imprese che già detengono una posizione dominante nel settore dei servizi di comunicazione elettronica (ad esempio TIM, che è l’impresa leader del settore) approfittino di tale circostanza per rafforzare la loro posizione nel settore dei media.
Tuttavia, l’Avvocato generale sottolinea che, oltre ad essere idonea a conseguirlo, tale normativa nazionale dev’essere proporzionata all’obiettivo di tutela del pluralismo dell’informazione, ossia non deve andare oltre quanto necessario per raggiungerlo.
Sebbene spetti ai giudici nazionali valutare la proporzionalità tra la normativa nazionale e le finalità cui è ispirata, l’Avvocato generale suggerisce alla Corte di fornire indicazioni utili al riguardo. In quest’ottica, egli osserva, in primo luogo, che la normativa italiana definisce in maniera “eccessivamente restrittiva” il perimetro del settore delle comunicazioni
elettroniche, escludendo nuovi mercati che sono divenuti la principale via di accesso ai
media (servizi al dettaglio di telefonia mobile, servizi di comunicazioni elettroniche collegati
a Internet e servizi di radiodiffusione satellitare). In secondo luogo, a suo avviso, i requisiti di
proporzionalità potrebbero non essere compatibili con la quota molto ridotta di ricavi (10%) del
SIC, fissata quale limite massimo per le imprese i cui ricavi nel settore delle comunicazioni
elettroniche superino il 40% dei ricavi complessivi di tale settore. In terzo luogo, l’avvocato
generale ritiene sproporzionato calcolare i ricavi delle società “collegate” come se fossero
società “controllate” quando, come sembra accadere nel caso di specie, la società (Vivendi) che
detiene una quota dei diritti di voto nell’altra (Mediaset) superiore alle cifre sopra indicate non è, di fatto, in grado di esercitare un’influenza notevole su quest’ultima.
Le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell’avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella
causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte cominciano adesso a deliberare in questa causa.
La sentenza sarà pronunciata in una data successiva.