Bruxelles – Adesso l’unica incognita rimasta è quella del tempo. L’Unione europea si concentra sulla Brexit sotto la pressione delle scadenze, ritenute troppo ravvicinate, per riuscire a fare tutto per bene. Per questo arriva l’invito a Londra a considerare la possibilità di estendere “oltre il 2020” il periodo di transizione, il tempo che servirà cioè per entrare a regime.
Nell’Aula del Parlamento europea riunita a Strasburgo per l’ultima sessione plenaria del 2019 la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, conferma che alla fine del mese prossimo il Regno Unito non sarà più membro dell’Unione. “Dopo la chiara vittoria di Boris Johnson e del suo partito conservatore alle elezioni il nostro assunto è che il Paese ratificherà l’accordo di uscita per la fine di gennaio”. Ma non è che una parte del programma.
“A partire da adesso – ricorda il negoziatore capo dell’UE per la Brexit – Michel Barnier, dovremo concentrarci su tre cose: completamento del processo di ratifica dell’accordo di ritiro, attuazione dello stesso, e avvenire”. Tutto questo ha “tempi limitati”. Londra dovrebbe concludere il processo di ratifica entro fine mese per permettere al Parlamento europeo di votare nella sessione plenaria di gennaio (13-16 gennaio).
Il responsabile Brexit dell’Eurocamera, Guy Verhofstad, mette però in guardia. Ricorda che il Parlamento europeo deve approvare, con un voto, l’accordo. “Prima di ratificare dobbiamo essere certi che la questione dei diritti dei cittadini sia risolta”. Appare difficile che ora l’UE possa e voglia mettersi di traverso, ma certo i Parlamenti sono sempre sovrani e Verhofstadt lo ricorda in un invito esplicito a Johnson. Come del resto fa Barnier. Quando dice che tra le tre cose su cui lavorare c’è l’attuazione dell’accordo stesso aggiunge che si tratta di garantire l’attuazione “in ogni sua parte”.
Poi il futuro. Se tutto come va previsto, dal primo febbraio il Regno Unito sarà un Paese terzo. Ma non sarà un salto nel buio. Fino a dicembre 2020 resterà ancorato alla legislazione comunitaria. Ciò per permettere di negoziare nuove relazioni. C’è il rischio però che il tempo possa non bastare. Per questo, a detta di Barnier, sarebbe opportuno di considerare la possibilità di “estendere a giugno (un’eventuale proroga va decisa entro quel mese, ndr) oltre il 2020” il periodo transitorio. “E’ possibile”. Se le parti lo vogliono e lo riterranno necessario, ovviamente. Al momento il premier britannico Boris Johnson ha escluso ogni qualsivoglia estensione, e lo metterà anche nel testo della legge per la separazione. Si naviga a vista.
I sostenitori della Brexit in Parlamento europeo accolgono positivamente la vittoria di Johnson. Sventolano la Union Jack, e salutano “l’indipendenza” e “il controllo dei confini”. Von der Leyen non lascia correre. “Il Regno Unito resterà un nostro grande partner. Ci mancheranno quanti hanno scelto di far parte di questa famiglia, non ci mancheranno quanti urlano”.
Dai banchi dove siedono i membri del partito per la Brexit, lo scozzese Brian Monteith grida “libeertààà!”. E’ un riferimento al personaggio di William Wallace, figura chiave della prima guerra di indipendenza scozzese, come ritratto da Mel Gibson nel suo celebre film “Braveheart”. A rispondere ci pensa Maired McGuinness, vicepresidente per un attimo nella veste di presidente d’Aula. “Non c’è bisogno di urlare. In quanto irlandese so cos’è l’indipendenza”. Indipendenza ottenuta dal Regno Unito. Vecchie ruggini mai superate che riaffiorano. Ska Keller, co-presidente del gruppo dei Verdi, prova a placare gli animi: “I nostri amici britannici ci mancheranno. E chissà, magari un giorno potremo dire loro ‘bentornati’”.