Bruxelles – Lo stesso schema del piano Juncker per gli investimenti strategici, prestato all’ambiente e alle politiche sostenibili. In termini di meccanismi finanziari non c’è nulla di veramente nuovo nel Green Deal della nuova Commissione europea, legato oltretutto ad incognite di bilancio che rischiano di vedere naufragare il cavallo di battaglia della presidente Ursula von der Leyen prima ancora di partire. Perché le risorse non ci sono, esattamente come non c’erano per il piano Juncker. Dovranno metterle gli Stati, come avvenuto cinque anni fa. E come cinque anni bisognerà convincere i governi a mettere mano al portafogli, battaglia non semplice da vincere.
La Commissione UE propone un meccanismo finanziario di “effetto leva”. Si costituisce un nucleo di risorse centrali come garanzia di finanziamento, da utilizzare per attrarre investimenti. Il piano Juncker prevedeva un fondo da 21 miliardi con cui reperire fino a 315 miliardi. Adesso si pensa di costituire un fondo di transizione dotato di 35 miliardi di euro, per arrivare a mobilitare fino a 100 miliardi di euro l’anno.
Il problema è che soldi freschi non ce ne sono, e non si capisce da dove trovarli. I 35 miliardi dovranno essere racimolati attingendo dalle risorse per la coesione (5 miliardi tra Fondo europeo per lo sviluppo delle regioni e Fondo sociale europeo), una voce di capitolo specifica nel prossimo bilancio pluriennale (si parla di 5 miliardi per il fondo di transizione), garanzie (1,5 miliardi) e prestiti della Banca europea per gli investimenti. Proprio con la BEI si discute dei criteri di eleggibilità per ottenere i prestiti, e dunque sul fondo da 35 miliardi tutto rinviato all’8 gennaio, quando si ritiene di avere tutti gli elementi. A questo si aggiungono contributi da “bilanci nazionali mediante cofinanziamento”.
Quello concepito è comunque un meccanismo difficile da far funzionare, perché in seno al Consiglio nessuno vuole togliere risorse alla coesione. E’ questo forse l’unico elemento che mette tutti, o quasi, d’accordo su un negoziato dove le differenze non mancano. Ma soprattutto non tutti vogliono mettere più risorse nel bilancio pluriennale e spendere soldi in generale. “Ci sarà bisogno di un bilancio ambizioso per permettere al fondo di transizione di avere risorse sufficienti”, ammettono dalla Commissione. Solo per dare un’idea, il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo per il 2030 in materia di clima (-50% di emissioni) ed energia richiederà 260 miliardi di euro di investimenti annuali aggiuntivi, pari a circa l’1,5% del PIL 2018. Soldi che andranno trovati.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si mostra fiduciosa. Sa che “le abitudini dei cittadini stanno cambiando” e che “dobbiamo rispondere alle esigenze dei cittadini”. Ovviamente “oggi non abbiamo tutte le risposte” al problema, “si è all’inizio di un percorso”, tenendo a mente che “il modello del carbone è superato”. Un concetto, quest’ultimo, difficile da far passare in Polonia e Romania, economie che devono tutto o quasi al carbone.
Per come si presenta il progetto tutto appare come una grande scommessa, sulla quale la nuova Commissione mette tutto il suo peso. Anche perché si promette di “rivedere le linee guida sugli aiuti di Stato per l’ambiente e l’energia”, per allinearle al Green Deal. Un processo che richiede dei tempi, non immediati, e che proprio per questo potrà attirare l’interesse delle imprese ma non necessariamente vederle partecipi da subito alla strategia della von der Leyen. “Qualunque sia la flessibilità sarà chiaramente e dettagliatamente regolata”, assicurano da Bruxelles, senza offrire ulteriori elementi.
Possibile comunque flessibilità contabile per gli investimenti virtuosi. Tradotto: non si calcolano ai fini del computo del deficit, che poi è quello che chiede l’Italia. “Non si riapre il patto di Stabilità, non è previsto”, fanno sapere dall’esecutivo comunitario. “Esamineremo gli investimenti. Non pregiudichiamo niente. Flessibilità verrà concessa se non intacca la stabilità delle regole di bilancio”.
Nelle tante parole della Commissione emerge un cronoprogramma. Si vuole entro marzo 2020 una “Legge sul clima” europea che sancisca l’obiettivo della neutralità climatica del 2050 nella legislazione comunitaria. Entro ottobre 2020 si vuole presentare un piano globale per aumentare l’obiettivo climatico dell’UE per il 2030 “ad almeno il 50% e verso il 55% in modo responsabile”. Ancora, entro giugno 2021 si intende proporre di rivedere tutte le misure legislative pertinenti per realizzare questa maggiore ambizione e sempre entro giugno 2021 si vuole proporre di rivedere la direttiva sulla tassazione dell’energia.
“Il Green deal contiene la nostra visione e il nostro cronoprogramma” per il futuro, sottolinea von der Leyen. Pensa in grande quando dice che il piano segna “il giorno dell’allunaggio per l’Europa”. E’ davvero ambizioso. Vuole ridisegnare l’intero modello produttivo e industriale europeo, in ogni suo settore. Ma dovrà convincere gli Stati a partecipare davvero.