Bruxelles – “Scusate, ma adesso è tardi e ho fame”. Sincero fino alla fine, fino all’ultimo momento. Jean-Claude Juncker saluta nel più schietto dei modi ed esce di scena come solo un uomo di palco(scenico) sa fare. Si presenta in sala stampa per l’ultima volta, ma “non per ringraziare”, tiene a sottolineare. “Perché non si usa”, spiega. “I giornalisti non sono né alleati né servi”. Però tiene a congedarsi di persona perché “amo le persone con cui lavoro, e la stampa è parte di queste persone”.
Proprio alla stampa si rivolge quando dice di essere “seriamente preoccupato” per il deterioramento dello Stato di diritto in Europa. “In più di un Paese non è pienamente rispettato”. Riferimento implicito, come spesso è solito fare Juncker. Parla di Polonia e Ungheria pur senza citarle. Contro questi Paesi sono aperte procedure d’infrazione e addirittura è stata avviato l’iter che potrebbe portare fino alla sospensione dei poteri decisionale in seno al Consiglio Ue. Ma non ci sono solo i Paesi dell’est. C’è una situazione più generale che inquieta Juncker.
Del resto, per sua stessa ammissione, il lussemburghese lascia la guida dell’esecutivo comunitario “con delle soddisfazioni e dei rimpianti, numerosi”. Più di qualcosa non ha funzionato in questi cinque anni. Juncker ha dovuto gestire la crisi dell’eurozona, quella dei migranti con la scarsa solidarietà mostrata tra gli Stati membri, la Brexit, il mancato avvio dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord, i ritardi negoziali sul bilancio comune pluriennale, l’ondata delle forze populiste e anti-europee, le tensioni con gli Stati Uniti e le guerre commerciali.
E poi la questione istituzionale. “L’idea di non ripetere il processo dello Spitzenkandidat è stato un errore”, dice a proposito dell’accantonamento dell’indicazione del candidato alla guida dell’esecutivo comunitario da parte dei partiti politici. Quello dello Spitzenkandidat “era un piccolo passo di democrazia” in un’Europa dove la democrazia è sotto attacco.
Non parla del suo futuro. Dice che la sua vita lo porterà “altrove”. Probabilmente si concederà una pausa. Appare stanco, e lo è. E non solo per il ricovero subito pochi giorni fa. Viene da cinque anni non facili, che sintetizza in una battuta. “Qualcuno, un paio di anni fa, mi ha regalato un libro dal titolo ‘Il più duro lavoro del mondo’. Pensavo si riferisse al ruolo di segretario generale delle Nazioni Unite, ma poi ho capito che si trattava del presidente della Commissione”.
Al successore, la prima donna nella storia dell’UE alla testa dell’esecutivo comunitario, lascia solo un breve pro-memoria. “Prenditi cura dell’Europa”. Poche parole che dietro l’apparente semplicità racchiudono tutta la complessità della sfida che attende Ursula von der Leyen. Per sé ricava una semplice considerazione. “Ho sempre detto che l’euro ed io eravamo i soli superstiti dei trattati di Maastricht”, che segano il passaggio dalla CEE all’UE e che Juncker negoziò e firmò in veste di ministro delle Finanze del Lussemburgo. “Adesso i Trattati di Maastricht resteranno da soli”. E’ l’era Juncker che volge al termine, dopo una vita dedicata all’Europa.