Margrethe Vestager vestita in mimetica nell’Aula del Parlamento europeo è forse l’immagine migliore per descrivere cosa aspetta questa Commissione, dopo i fasti della votazione di massa di ieri mattina.
Ursula von der Leyen aveva una delle sue tipiche giacchette rosa confetto, ma sotto sicuramente aveva un tessuto da combattimento, anche lei sa bene che saranno anni difficili. Non solo per le sfide che ha davanti la Commissione in quanto tale, tutti i governi hanno cose più o meno complesse da fare, ma per le condizioni nelle quali dovrà lavorare. Il “nuovo inizio per l’Europa” promesso dalla tedesca davanti ai deputati è già un’ammissione di sconfitta, non di questo esecutivo, ma di quello precedente, che si era insediato al grido di “Commissione dell’ultima chance”. Evidentemente o ha fallito o non era l’ultima chance, oppure era solo un grido di battaglia, che vale quel che vale, per stimolare qualche voto in più, per darsi coraggio.
Dunque secondo la nuova presidente della Commissione si deve dare “un nuovo inizio”, che non vuol dire ricominciare, non vuol dire negare il passato, ma vuol dire che oramai quel che è dietro le spalle è superato, non basta più e il futuro va rifondato. Il programma di lavoro è bello, in parte lo abbiamo sostenuto anche noi, tempo fa, con parole che von der Leyen ha usato oggi a Strasburgo: Clima come scelta esistenziale e di crescita, poi la digitalizzazione, la salute, la democratizzazione (un po’), un’Europa per i cittadini e non per i mercati… Come dire che non va bene?
Le possibili imboscate però sono tante, e possono arrivare da ogni parte. Fa bene Vestager a mettersi una mimetica nel giorno del lancio, perché lo stesso Parlamento che ha largamente sostenuto ieri questa Commissione ha già mostrato di esser pronto a girarle le spalle, ed anche a non trovare l’unità interna necessaria per andare avanti. Forse ha un po’ di ragione il leghista Marco Zanni quando, da oppositore, dice che tanti voti a favore sono dovuti anche al voto palese, che ha limitato le defezioni.
Poi, ammettendo che la Commissione al suo interno si solidale e forte come von der Leyen ha assicurato ai deputati, in che mare nuoterà? Molti indicano il presidente francese Emmanuel Macron come la difficoltà principale in questa Unione europea. Le sue idee forti, espresse spesso nei modi e nei tempi sbagliati, destabilizzano forse. La questione è che nonostante i modi, nella sostanza delle ragioni il francese le ha, il problema è che non ha con chi condividerle. Il forte traino franco tedesco non sembra esistere più, anche se la collaborazione tra i due governi resta quotidiana. In Germania la stella di Angela Merkel si va spegnendo, la cancelliera ha lasciato la guida del partito e lascerà anche quella del governo. Ma a chi? La sua candidata designata non sembra all’altezza, e altri candidati si fanno avanti con forza. E’ una composta instabilità alla tedesca, ma il risultato è che quello che era il Paese più solido dei 28 sta attraversando una fase di elaborazioni interne (e di problemi economici in parte responsabilità degli anni di governo di Merkel) che gli impedisce di avere una lucida visione del futuro.
Il Regno Unito se se sta andando. Quando succederà non è dato saperlo al momento, ma questa attesa sta diventando snervante, alcune ricadute sono inevitabili anche nel sistema istituzionale dell’Unione, come ha dimostrato la complicata ed ancora non pienamente risolta questione della mancata nomina del commissario europeo britannico. Quando poi la separazione sarà avvenuta l’Unione, va ammesso, avrà perso un partner che, più in passato che negli ultimi quattro o cinque anni, è stato importante per l’economia, per la politica estera, per la difesa e la sicurezza. Si dovranno trovare nuovi equilibri, e questo riguarderà molto anche i sempre insoddisfatti Paesi del Nord come l’Olanda, che tradizionalmente si facevano scudo dietro Londra e che ora dovranno trovare nuove strategie ed alleati.
C’è poi l’Italia, dove al momento c’è un governo “amico” dell’Unione, ma che traballa, dove comunque prima o poi, forse prima che poi, si tornerà a votare, e dove la Lega di Matteo Salvini con i suoi alleati di destra ed estrema destra con i quali Bruxelles ha già avuto difficili relazioni, sono visti come i vincenti. C’è poi l’Ungheria di Orban, che ha mostrato la sua forza ottenendo quel commissario all’Allargamento e Vicinato che ha alienato molti voti di fiducia a von der Leyen, la Polonia dove il Pis ha recentemente confermato la sua forza.
La Spagna non si capisce dove vada: un fragile governo di minoranza, di maggioranza risicata, a nuove elezioni?
Per non dire delle situazione economica complessiva nell’UE che non sembra decidersi a girare verso una ripresa vera, cosa che tradizionalmente acuisce le chiusure dei Paesi e smonta la solidarietà.
I progetti invece sono tanti e ambiziosi, dal Green Deal che dovrebbe rivoluzionare l’economia europea all’Unione fiscale, al programma finanziario pluriennale, che per ammissione della stessa presidenza di turno finlandese è ancora lontano dall’essere condiviso.
Sì, probabilmente prepararsi a un periodo pieno di insidie è un atteggiamento prudente.