Di Adriano Maggi
“L’unico futuro possibile è l’integrazione europea”.
Viktor Elbling – Ambasciatore per l’Italia della Repubblica Federale di Germania – ha aperto con questa frase l’incontro organizzato lo scorso mercoledì 20 novembre dall’Istituto Affari Internazionali, nell’ambito del format #conversazioninternazionali.
Il filo conduttore dell’evento è stato, in occasione del trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, il futuro dell’Unione Europea.
Ricordando come la successiva riunificazione tedesca non sarebbe stata possibile “senza i nostri partner europei”, l’Ambasciatore ha posto l’accento sulla fondamentale importanza delle vicende berlinesi nel quadro del processo di integrazione europea dell’epoca.
Interrogato sull’ascesa dei movimenti euroscettici nel proprio paese, Elbling ha poi bollato il fenomeno anti-europeo come nettamente minoritario, definendo AfD (Alternative für Deutschland) “un partito isolato che non supera il 15% dei consensi a livello nazionale” e specificando che “qualunque governo tedesco sarà sempre interessato al processo d’integrazione europea”.
Ad ogni modo, nonostante le rassicurazioni dell’Ambasciatore, è preoccupante che l’euroscetticismo sia fortissimo anche e soprattutto in quei paesi che dell’Unione Europea sono i fondatori, come l’Italia. Il gradimento per l’Ue nel nostro paese, difatti, è ai minimi storici: solo il 43% degli italiani, secondo i sondaggi di Eurobarometro del 2018, crede che l’Italia abbia tratto beneficio dall’essere membro Ue. Proprio in relazione ai rapporti con l’Italia, uno dei primissimi partner commerciali tedeschi, Viktor Elbling ha parlato di “posizioni vicinissime” e di come “senza l’Italia non si costruisce l’Europa del futuro”; un’Europa che sicuramente presenta dei deficit democratici ma che, secondo l’Ambasciatore, è l’unica strada per il raggiungimento di “soluzioni condivise ai problemi del futuro” attraverso la sua essenza sovranazionale.
Un futuro che, inevitabilmente, è da cercare nel superamento dei particolarismi nazionali e in una politica di “piccoli passi” oltre che di maggiore coesione fra i vari Stati membri per il bene delle istituzioni comunitarie.
Non si deve dimenticare inoltre la ‘lezione’ del 1989, quando la ricerca del compromesso fra i vari leader europei portò al superamento di equilibri geopolitici risalenti a più di quaranta anni addietro, considerati immutabili.
“La risposta è una maggiore democratizzazione dell’Unione Europea”, conclude l’Ambasciatore, ponendo l’accento sull’attuale sistema di relazioni intergovernative tra i vari Stati membri, che rende il processo decisionale lungo e tortuoso.
Si parla tuttavia del medesimo sistema che, dopo la fine della Guerra Fredda, portò alla nascita dell’Unione Economica Monetaria e poi alla firma del Trattato di Mastricht nel 1992. Riuscirà l’Unione Europea a utilizzare questo momento di difficoltà per “democratizzarsi” ancor di più e arrivare a un processo decisionale davvero comunitario?