Bruxelles – Il Regno Unito non indicherà il suo candidato alla Commissione europea prima delle elezioni generali del 12 dicembre.
Dopo giorni e giorni di insistenza da parte della presidente eletta Ursula von der Leyen finalmente il governo britannico, tramite il suo rappresentante diplomatico a Bruxelles Tim Barrow, ha comunicato la decisione finale, già per la verità contenuta nella Guida alle Elezioni (Sezione M, punto 10) pubblicata dall’esecutivo britannico il 4 novembre scorso.
Si pone quindi formalmente un nuovo problema per von der Leyen, che punta ad entrare in carica il prossimo primo dicembre, con un mese di ritardo, sempre che le audizioni di oggi dei tre commissari che sono stati sostituiti vadano bene.
La questione è legale: se manca un commissario, in base all’Articolo 17 punto 4 del Trattato sull’Unione Europea, che prevede un membro per ogni Stato membro, la Commissione, dicono alcuni pareri giuridici, non è legalmente formata, e dunque, se anche con una decisione politica si decidesse di votarla lo stesso, ogni suo atto, in mancanza di un membro alla sua nascita, secondo alcuni parere legali potrebbe essere impugnato in quanto non legittimo.
La via di uscita, a parte un nuovo rinvio dell’entrata in carica dell’esecutivo comunitario, può essere quella di una decisione, all’unanimità, del Consiglio europeo che riduca il numero dei membri della Commissione da 28 a 27 (atto previsto sempre dall’articolo 17 ma al punto 5 del Trattato UE), e che contestualmente avvii un’azione legale contro Londra per aver mancato all’adempimento di un suo dovere. Riducendo il numero dei commissari il problema della legittimità della Commissione sarebbe risolto.
Per questo taglio è però necessaria l’unanimità dei governi, dunque anche il voto di Londra, che potrebbe mettersi di traverso, perché se è vero che politicamente un governo pro Brexit potrebbe rivendicare la scelta come esempio della sua determinazione, è anche vero che perdere un orecchio così importante nel cuore del potere decisionale dell’Unione potrebbe essere una scelta giudicata dannosa.
Nel Regno Unito si è nel pieno della campagna elettorale in corso, in gran parte centrata sulla Brexit, nella quale il premier Boris Johnson gioca il ruolo del “duro”, e dunque probabilmente vuol tenere l’Unione sul filo il più possibile.