Bruxelles – A Londra qualcuno il rinvio della Brexit non lo voleva, a cominciare dal premier uscente Boris Johnson. Molto lontano da Londra, qualcun altro a questo rinvio ci sperava, e molto. Nel mar dei Caraibi i territori d’oltre mare britannici festeggiano. Lo tengono quasi in sordina, o probabilmente questo evento per loro positivo non viene ascoltato. Da queste parti del mondo si continua a rimproverare alla madrepatria un’assenza di attenzione su un tema che rischia di penalizzare, e non poco, quei territori dove vivono oltre 210mila cittadini.
Anguilla è forse uno degli esempi più emblematici del caos britannico. L’arcipelago è fortemente dipendente dai fondi che l’UE destina alle regioni ultra-periferiche. I fondi di Bruxelles rappresentano fino a un terzo del bilancio annuale del Paese. Ma tutti perderanno l’accesso alle risorse del Fondo di sviluppo europeo e ai finanziamenti della Banca europea per gli investimenti. Nelle isole Cayman, poi, si guarda con preoccupazione a quello che potrebbe avvenire dopo. Quando il Regno Unito sarà un Paese terzo potrebbe tramutarsi in un centro finanziario speciale e nella Cayman, che deve la propria fortuna alla sua natura di paradiso fiscale, si teme l’ascesa di un concorrente troppo difficile da poter battere.
Più in generale c’è un problema, per il governo di sua maestà: in questa parte del mondo la Brexit non la voleva nessuno, e nessuno è stato interpellato nonostante tutti abbiano passaporto britannico. Anguilla, Bermuda, isole Vergini britanniche, isole Cayman, Montserrat, Turks e Caicos vogliono mantenere per la propria popolazione la libera circolazione all’interno dell’UE-27 dopo la Brexit. Il motivo si deve alla natura geografica di questi posti, isole e isolette dislocate in un’area del mondo dove anche Francia e Paesi Bassi hanno territori d’oltre-mare. A proposito: Anguilla ha manifestato preoccupazione circa la possibilità di continuare a commerciare pesce con la vicina Saint Martijn, dipendenza olandese.
C’è dunque una piccola porzione di Unione europea lontana dall’Europa, e non poter muoversi nello spazio comune caraibico rischia di rendere queste isole ancora più perdute nell’oceano.
Il senso di frustrazione per non essere stati consultati si unisce al senso di preoccupazione legata all’incertezza per il futuro. Il rischio? Alto, secondo David Jessop, del Carribean Council. Questa è un’organizzazione che offre consulenza a società, associazioni di categoria, governi e organizzazioni multilaterali con interessi in tutti i Caraibi. Il Consiglio ha uno staff specializzato con sede a Londra. Jessop lancia l’allarme: la Brexit potrebbe ridisegnare le cartine geo-politiche mondiali.
Ricorda che a Londra si considerano gli abitanti dei territori d’oltremare come ‘cittadini di serie B’, quando in alcuni di questi Paesi c’è un tenore di vita migliore e più alto di quello di molte aree britanniche. E’ il caso delle isole Vergini britanniche, casa di uno dei più forti oppositori della Brexit, il miliardario Richard Branson, il fondatore del gruppo Virgin. La forza economica dei Paesi ricchi e i dubbi degli arcipelaghi meno ricchi adesso diventano spinte potenzialmente distruttive.
CI sono elementi che “suggeriscono la necessità di riconsiderare i modi in cui sono considerati dalla Gran Bretagna”, avverte Jessop, che affronta la questione in modo più preciso. Allo stato attuale, tutti i territori caraibici d’oltremare del Regno Unito desiderano rimanere parte della famiglia britannica. “Tuttavia, se non fosse possibile stabilire una nuova relazione più equilibrata o reciprocamente dipendente con il Regno Unito, è ipotizzabile che per alcuni territori d’oltremare, la Brexit potrebbe diventare indissolubilmente legata all’avanzamento costituzionale”. Dopo la Scozia, anche i territori d’oltre mare. Londra rischia di perdere ciò che resta del vecchio impero.