Bruxelles – Impasse, stallo, ma anche pantano, o anche gioco del cerino. La Brexit è diventata questo. L’ultima notizia in merito è che dopo una “interessante discussione”, come ha riferito il capo negoziatore Ue Michel Barnier, di oltre due ore sul procrastinare la data di uscita del Regno Unito dall’Unione europea (ora fissata al 31 ottobre), così come chiesto da Londra, gli ambasciatori dei Ventisette hanno unanimemente deciso l’ovvio, cioè di concedere un rinvio, ma non sono stati in grado di proporre ai loro governi una nuova data. Se ne riparla lunedì o martedì.
Dall’altra parte della Manica il governo britannico minaccia una specie di “sciopero” (hanno già deciso il rinvio della presentazione della legge di Bilancio) finché il Parlamento non permetterà all’esecutivo di calendarizzare il prosieguo dei lavori sulla Brexit, dopo la prima approvazione dell’Accordo stilato dal premier Boris Johnson a Bruxelles e se non appoggerà la richiesta di elezioni anticipate che il primo ministro ha depositato ieri per il 12 dicembre, un voto che però potrà aver luogo solo se 434 deputati diranno “sì”, e dunque ci vogliono i laburisti. Il cui leader, Jeremy Corbin, ha però affermato che non voterà mai per le elezioni fin quando non sarà stata definitivamente tolta dalle opzioni possibili un’uscita dall’Unione senza accordo. Johnson non manca ovviamente di sostenere che una parte della colpa è anche di Bruxelles, che non si sbriga a decidere: “Purtroppo dipende da ciò che dice l’UE – ha affermato questa mattina -. Siamo in una situazione in cui, ai sensi dell’atto di resa che è stato approvato dal Parlamento, spetta all’UE decidere se rimanere o meno nell’UE e spetta all’UE decidere per quanto tempo tale estensione durerebbe”.
I labour sono pronti a sostenere le elezioni anticipate al 12 dicembre, ha spiegato Corbyn in un’intervista a ITV,” a condizione che il primo ministro arrivi in Parlamento lunedì e assicuri chiaramente che non andremo a schiantarci, perché il suo accordo (quello firmato con Bruxelles e presentato al Parlamento, ndr) include la possibilità di un’uscita senza accordo”.
Stallo insomma, ognuno aspetta che l’altro faccia la prima mossa. E qualcuno dovrà farla, ma non certo l’Unione europea, dove si dibatte tra chi è favorevole al rinvio così come chiesto, obtorto collo, da Johnson fino al 31 gennaio, chi, come il presidente francese Emmanuel Macron, vorrebbe il 15 novembre (data tecnicamente possibile, va detto) e chi propone una doppia scadenza: 15 novembre e nel caso di non approvazione britannica il 31 gennaio 2020. Probabilmente i governi dei Ventisette vogliono anche capire come andrà la questione del voto anticipato, che potrebbe chiarirsi lunedì a Westminster.
Va comunque tenuto presente che qualsiasi sia la data fissata, se si raggiungesse un’approvazione parlamentare a Londra e a Strasburgo prima di quella scadenza la separazione potrà essere operativa già prima.