dall’inviato
Strasburgo – Sostiene di aver mantenuto la sua promessa, di aver riportato l’Europa vicina alla gente. Non tutto è andato come previsto, ma in questi ultimi cinque anni risultati ne sono stati prodotti. “Non bisogna essere super-entusiasti, ma neppure totalmente delusi”. Per Jean-Claude Juncker è tempo di tirare le somme, e il presidente uscente della Commissione europea traccia il suo bilancio. Lo fa davanti al Parlamento europeo, a cui chiede di “combattere per l’Europa e contro gli stupidi nazionalismi”. Un appello nel momento degli addii, visto che il lussemburghese interviene in Aula per quello che è destinata ad essere la sua ultima apparizione nelle attuali vesti dopo tanto tempo.
“Ho parlato davanti a questo Parlamento 105 volte”, ricorda con non poca emozione. L’Aula, non gremita, lo applaude. Lo farà più volte nel corso del suo intervento. Lo farà ancora di più al termine del suo intervento, durato circa mezz’ora per raccontare la sua Europa. Non molto per concentrare cinque anni di attività, ma questo è il tempo concessogli per rivendicare i suoi successi e lasciare la sua agenda per il futuro dell’Unione.
Gli insuccessi
In questi cinque anni motivi per essere delusi non sono mancati”, ammette il lussemburghese. Ma non cita la Brexit tra questi, nonostante ammette che sarà “sempre dispiaciuto” per la decisione dei britannici di uscire dall’Ue. Cita la mancata unificazione di Cipro, cita il mancato accordo sulle relazioni con la Svizzera, cita il mancato completamento dell’unione bancaria. E qui, critica, “le proposte legislative non sono mancate” da parte dell’esecutivo comunitario, depositario dell’iniziativa legislativa. “E’ mancata la volontà degli Stati” di progredire su questo dossier importante.
C’è anche la politica estera comune tra gli elementi critici. Vero è che Juncker sostiene che sia giunto il momento di “introdurre il meccanismo di voto a maggioranza qualificata” in seno al Consiglio. “Magari non proprio su tutte le questioni”, ma un cambio di passo va impresso a un’Europa troppo balbettante sulle questioni geo-politiche.
L’istituto dell’unanimità è lo stesso che ha impedito all’Europa di avviare negoziati con Albania e Macedonia del Nord. “Un grave errore, perché si dà l’impressione che l’Europa fa promesse che non mantiene e allora nessuno ci rispetterà nel mondo”. Un altro affondo nei confronti dei governi. Uno in particolare. Vero è che in un discorso pronunciato in tre lingue – inglese, tedesco e francese.
I successi
Juncker rivendica i successi conseguiti con il piano per gli investimenti strategici. Snocciola i dati di un piano che, sottolinea, “ha ricevuto il mio nome per timore che fosse un fallimento, ma che invece ha funzionato”. Ha permesso al Pil comunitario di crescere dello 0,9%, creando 1,1 milioni di nuovi posti di lavoro, generando 432 miliardi di investimenti e sostenendo oltre un milione di piccole e medie imprese.
Juncker rivendica i passi avanti sull’immigrazione, dove “nel complesso le cose sono migliori di com’erano, anche potrebbero essere ancora migliori”. Sottolinea come 760mila persone siano state salvate in mare. Tutte persone strappate all’annegamento “grazie all’Europa”. Applausi dell’Aula, che ha adottato una posizione per chiedere agli Stati un meccanismo di redistribuzione dei migranti rimasto lettere morta in Consiglio.
Poi la Grecia. Non poteva non tornare sulla crisi dell’eurozona, lui che è stato presidente dell’Eurogruppo dal 2005 al 2013. “Abbiamo ridato dignità al popolo greco. Ritengo che sia state calpestata, e ho voluto che la Commissione agisse a favore della Grecia”. Risultato: crisi dell’euro disinnescata e Paese fuori dalla procedura per deficit eccessivo.
La Commissione della gente
“Ho voluto una commissione politica, e i cui commissari non restassero fermi a Bruxelles”. Juncker rivendica di aver riavvicinato l’Europa agli europei, con più di 800 dialoghi con cittadini e le 911 audizioni dei commissari nei vari parlamenti nazionali e locali. Ora il percorso tracciato è per chi lo succederà. “Continuate a combattere per l’Europa e contro gli stupidi nazionalismi”. La frase con cui Juncker si congeda dal Parlamento, tra gli applausi scroscianti di un Aula non piena ma i cui membri presenti, vanno in processione per abbracciarlo.