dall’inviato
Strasburgo – Una buona maggioranza dei presenti mostra impazienza per una Brexit tanto annunciata e ancora non avvenuta, una parte dell’Aula, quella composta dalle delegazioni dei Paesi dell’est, si lamenta per il mancato avvio di negoziati con Albania e Macedonia del Nord per l’adesione all’UE. Qualcuno lamenta l’Europa incompiuta degli ultimi cinque anni. Le critiche e le autocritiche dell’Unione diventano il filo conduttore dei lavori del Parlamento europeo riunito a Strasburgo.
La mattinata offre il dibattito sull’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE, e a seguire il bilancio sui cinque anni di ‘governo’ Juncker. In assenza di decisioni da prendere, il dibattito si focalizza sulle cose che non hanno funzionato. In questo esercizio, solo parzialmente di critica costruttivo, la questione britannica ha finito con il monopolizzare il dibattito.
Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ribadisce che “l’opzione di un mancato accordo non è mai stata la nostra, e se dovesse verificarsi la responsabilità sarebbe tutta britannica”. Esternazioni che non aiutano a incanalare la discussione su binari pacati. Il PPE, attraverso il suo capogruppo Manfred Weber, non concede sconti. “Non dobbiamo avere fretta. Prendiamoci il nostro tempo come se l’è preso il Parlamento di Westminster”. Significa fare le cose per bene, ma anche tenere sulla graticola la controparte britannica. Il veder Philippe Lamberts, chiede una nuova consultazione popolare. “Se a Londra non sono in grado di votare l’accordo, lo facciano fare ai cittadini”.
Verdi e socialisti si ritrovano alleati contro il governo di Londra e l’incapacità di gestire la Brexit. Pedro Silva Pereira (S&D) ricorda che l’UE “ha già raggiunto accordi con tre primi ministri, David Cameron, Theresa May e Boris Johnsonn”, per essere fermi al punto di partenza. Mentre Ellie Chowns (Verdi) ricorda che l’attuale premier “ha perso tutti i voti in Parlamento”, per quello che si caratterizza come “un fallimento politico senza precedenti” che induce a domandarsi “come ci si può fidare di Johnson”.
L’irlandese Matt Carthy, di Sin Fein, accende gli animi riproponendo la questione irlandese. “L’unico modo per proteggere il nostro Paese dai rischi della Brexit è la l’Irlanda unita”. Sean Kelly, irlandese di Fine Gael, invita alla calma. “Abbiamo atteso tre anni, attendere ancora tre settimane o tre mesi cambia poco”. Ma non è così. Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, sintetizza gli ultimi tre anni e mezzo come “una perdita di tempo e di energie”. Segno che tutti sono stufi dei britannici e dei loro capricci.
In Aula invece si mugugna per i fallimenti in materia di allargamento. Tonino Picula (S&D, Croazia), Dacian Ciolos (RE, Romania), Dita Charanzova (RE, Repubblica ceca), Philippe Lamberts (Verdi, Belgio), Ludek Niedermaier (PPE, Repubblica ceca) tessono la maggioranza trasversale degli scontenti per il fallimento del vertice UE. I socialisti rimproverano la mancata volontà di mettere mani al portafogli e produrre un bilancio comunitario all’altezza delle sfide, i sovranisti accusano la Turchia di “ricattare l’Europa con i migranti” con l’Europa che resta a guardare.
Lo scontro continua quando Juncker prende la parola per tracciare il bilancio del suo mandato, fatto di luci e ombre. Rivendica il successo del piano per gli investimenti che porta il suo nome (+0,9% per il PIL dell’UE, 1,1 milioni di nuovi posti di lavoro, 432 miliardi di investimenti, sostegno a a oltre un milione di piccole e medie imprese), rivendica le “760mila vita salvate” in mare, il salvataggio della Grecia, i dialoghi con i cittadini che hanno avvicinato la Commissione europea alla società civile.
Ma le voci contrarie non mancano nemmeno in questo frangente. La francese Manon Aubry (GUE), gli augura “una buona pensione e un buon soggiorno nel suo paradiso fiscale” che è Lussemburgo, il leghista Alessandro Panza vede “un’Europa debole, divisa, e incapace di far fronte alle sfide che ha davanti a sè”, mentre la pentastellata Eleonora Evi assegna addirittura la pagella: “I cinque anni a guida Juncker sono stati molto deludenti. Se dovessimo assegnarle un voto per ogni materia le insufficienze sarebbero troppe”.
Voci che rispondono alla logica delle parti. Le critiche a Juncker arrivano tutte dai banchi dell’opposizione, ma Juncker verrà ricordato per aver guidato la Commissione europea con cui il numero degli Stati membri si è ridotto, per aver promosse e promesso un dialogo con l’Albania e la Macedonia che non è partito, per aver perso la battaglia con gli Stati sull’immigrazione, per aver visto esplodere la guerra dei dazi, per aver parlato di salario minimo europeo senza averlo portato a casa. Tutti elementi che arricchiscono di critiche una sessione plenaria consegnata al campionario degli orrore e degli errori, e che mostra il peggio dell’Europa.