Domenica l’Argentina, il paese con più italiani all’estero (circa 900 mila), va al voto; ultima tra le importanti democrazie dell’area a decidere dove andare e soprattutto dove stare nell’ormai inconsistente geografia politica latinoamericana.
Il Presidente conservatore Mauricio Macri arriva a fine mandato con un consenso bassissimo; nel 2015 aveva vinto intercettando le speranze di cambiamento e rinnovamento di una parte del elettorato dopo quasi quindici anni ininterrotti di kirchnerismo, promettendo lotta alla dilagante corruzione, all’inflazione e il rilancio dell’economia con l’apertura ai mercati internazionali.
Tutto questo non è avvenuto. Il Paese è caduto in una nuova crisi economica. Tutti gli indici economici sono da banca rotta: inflazione oltre il 50%; la produzione industriale è calata del 10,6% con un indice di povertà che ha raggiunto il 30%. Il Peso ha perso più del 300% de suo valore durante il governo Macri e lo spread di 2.200 punti.
Gli errori di Macri
L’ex sindaco di Buenos Aires è apparso (a tutti) poco incisivo: il suo programma di ‘graduale’ austerità ha prodotto risultati deludenti con i cd “ajuste” (aggiustamento) sopportato soprattutto dalle classi medie e basse.
Il tentativo di scaricare, sempre e comunque le colpe sul passato, e rinforzare la c.d. “grieta” (crepa), cioè, la fortissima divisione tra kirchneristi e antikirchneristi che domina la politica argentina, con il tempo si è rivelato superficiale, poi controproducente.
Per affrontare il deficit economico, il governo ha deciso di ricorrere al FMI. Un “programma di salvataggio” stratosferico, di ben 50 miliardi di dollari; il più importante della storia dell’organismo.
Macri ha assecondato i piani di aggiustamento strutturale proposti dal FMI dando sempre la sensazione di gestire la malattia del paese, mai di dominarla e uscirne vincente. Sul punto il paragone con gli ex presidenti Cristina Fernández de Kirchner e suo marito Néstor (suo predecessore) che avevano fatto della ristrutturazione del debito una battaglia di riscatto nazionale è apparso sempre più tranchant.
In politica estera, il governo ha perseguito una strategia che ha definito “pragmatica e deideologizzata” al fine di “reinserire il paese nel mondo dall’isolamento kirchnerista”: priorità alle relazioni con Europa, Stati Uniti, con gli organismi finanziari internazionali e al riavvicinamento alla Gran Bretagna. Quest’ultimo, ovviamente, maldigerito in un paese ancora molto sensibile alla questione Malvinas/Falklands. Pertanto, il Macrismo ha significato essenzialmente la scelta di ridimensionare il modello integrazionista MERCOSUR, abbassando le ambizioni d’integrazione economica e soprattutto politica; di fatto riportando il paese in una dimensione “Menemista” anni 90’ con scarsa vocazione regionale, abdicando alla sua tradizionale condizione di riferimento per il subcontinente; strategia diametralmente opposta a quella dei governi dei Kirchner in cui l’Argentina si è mossa come leader regionale in posizioni non conflittuali con il Brasile (come l’educazione e le migrazioni).
Cristina Fernandez de Kirchner
Carismatica, forte, dalla presenza scenica importante, con una lunghissima carriera politica nel peronismo e, soprattutto tanto “divisiva”, questa è Cristina Fernandez de Kirchner, vedova di Néstor. Con Néstor prima e Cristina dopo, l’Argentina è stata protagonista della stagione progressista e integrazionista dell’America Latina, soprattutto nella prima decade del nuovo secolo. Solidissimo è stato il rapporto e l’intesa strategica con il presidente brasiliano Lula da Silva. Argentina e Brasile, messa da parte la storica rivalità ispano-lusitana, hanno identificato (anche fisicamente nel G22) l’idea stessa di centralità dell’area come player mondiale nel concerto delle relazioni internazionali.
Parte importante della sua strategia elettorale è stata la capacità di sovradimensionare l’elemento politico su quello personale; ha, con molto acume, scelto di candidarsi come vicepresidente, consapevole delle fortissime divisioni e polarizzazioni che genera la sua presenza. Il candidato Presidente Alberto Fernández (non ci sono rapporti di famiglia) è suo vecchio capo di gabinetto, ma che è stato molto critico su alcune sue politiche. Considerato un “conciliatore”, Alberto ha una naturale tendenza a cercare accordi, molto diverso da Cristina, notissima per il suo tratto conflittuale.
Un’Argentina di nuovo kirchnerista aprirebbe nuovi scenari geopolitici. A soffrirne di più – in un capovolgimento di equilibri di forza – potrebbe essere proprio Bolsonaro con un’economia praticamente al palo (Pil a 0,9%) e la sbornia post-elezione evaporata dall’approvazione di una radicale riforma previdenziale e di una serie di riforme strutturali che includono la privatizzazione delle aziende pubbliche “strategiche”, come Petrobras. Una divisione ideologica così forte tra i due “grandi” del Cono Sur avrebbe come possibile conseguenza il blocco dei producenti meccanismi di negoziazione MERCOSUR e l’incertezza assoluta sul futuro del trattato di libero commercio MERCOSUR-UE. Al tradizionale asse Argentina-Brasile, potrebbe sostituirsi una inedita (ma verosimile) intesa Argentina-Messico di López Obrador.
In più, la figura carismatica dell’ex presidente brasiliano Lula da Silva; il vero convitato di pietra degli equilibri geostrategici regionali. Un’Affair che quotidianamente riserva sorprese e rivelazioni. La liberazione di Lula è stata chiesta da molte personalità, tra intellettuali e politici, in Europa come in America latina e non da ultima, proprio da Cristina Fernandez de Kirchner.
Se la notte del 27 Ottobre a Buenos Aires si sentisse cantare “estamos volviendo” (stiamo tornando), è molto probabile che tra i primi messaggi di congratulazioni, non ci sia quello dell’ex capitano dell’esercito brasiliano.