Bruxelles – Doveva essere una giornata memorabile per la lotta al cambiamento climatico: il Consiglio d’Amministrazione della BEI (Banca europea degli investimenti) avrebbe dovuto prendere, lo scorso 15 ottobre a Lussemburgo, la decisione di varare la sua “nuova politica di prestiti energetici”, smettendo di finanziare qualunque progetto o attività riguardante le fonti di energia fossili a partire dalla fine del 2020, e concentrandosi invece sulle energie rinnovabili e sull’economia “low carbon”. Ma il voto, da parte dei rappresentanti dei 28 Stati membri dell’UE che siedono nel Board, non c’è stato: dopo un’intensa discussione definita “costruttiva” dalla stessa Banca, si è deciso di posporre la decisione al 14 novembre.
Il rinvio cela, in realtà, forti divisioni fra gli Stati membri sulla scelta radicale della Bei, che è sostenuta soprattutto dai paesi nordici, dalla Francia e dalla Spagna. La osteggiano, invece, i paesi dell’Est, fortemente dipendenti dalle fonti fossili, ma anche la Germania, preoccupata per lo stop ai finanziamenti al gas. Il gas è una fonte di transizione su sui i tedeschi contano molto per per la sostituzione, nei prossimi anni, del carbone da loro ancora fortemente utilizzato. Restano da convincere anche l’Italia e la Grecia, che hanno interesse nella realizzazione di alcuni gasdotti co-finanziati dall’Ue.
Le settimane che restano fino al 14 novembre “saranno utilizzate per ulteriori scambi bilaterali e chiarimenti tecnici”, spiega un comunicato della Bei.
Un altro ostacolo maggiore alla realizzazione della versione più ambiziosa della “nuova politica di prestiti energetici” della Bei viene dalla Commissione europea, che ha chiesto e ottenuto (con un emendamento introdotto il 26 settembre nella bozza di decisione che era pronta da fine luglio) una deroga dal divieto di finanziare le fonti fossili, in modo da preservare i cosiddetti “progetti d’interesse comune” riguardanti le connessioni energetiche, quando comprendono anche dei gasdotti.
Lunedì scorso, rispondendo alle domande della stampa, una portavoce ha affermato che la Commissione “accoglie con favore tutte le proposte per aiutare l’UE a raggiungere gli ambiziosi obiettivi climatici previsti dall’accordo di Parigi”, e che “sostiene l’obiettivo della Bei di diventare la banca climatica dell’Ue”. Tuttavia, ha ricordato la portavoce della Commissione, Annika Breidthardt “tutte le modifiche alla politica di investimento della Bei devono essere accettate dagli Stati membri dell’UE che ne sono gli azionisti”. E ha sottolineato: “Il gas naturale rimarrà una componente importante nel mix energetico dell’Unione nel prossimo futuro, mentre ci muoviamo verso fonti di energia più pulite”.
Inoltre, “data la nostra forte dipendenza dalle importazioni, il gas naturale liquefatto degli Stati Uniti, se avrà prezzi competitivi, potrà svolgere un ruolo crescente e strategico nell’approvvigionamento di gas dell’UE”, ha concluso.
Non si sono fatte attendere le reazioni delle ONG ambientaliste.
La Germania, la Commissione e i paesi dell’Est “stanno sabotando l’impegno della Bei per rispettare l’Accordo di Parigi” sul clima”, ha commentato oggi il WWF, lanciando un appello agli Stati membri a sostenere il piano contro il finanziamento delle energie fossili al voto del 14 novembre.
“È giunto il momento per la Commissione europea, per la Germania e per quei paesi che si sono opposti al piano della Bei di mettere al bando i combustibili fossili, di smettere di frenare le politiche climatiche, e di riconoscerne l’urgenza. La Commissione dovrebbe anche farsi un esame di coscienza, poiché non può da un lato promuovere pubblicamente il suo Green New Deal europeo come una svolta di sistema (‘game changer’, ndr), e dall’altro opporsi agli impegni a favore del clima da parte del braccio finanziario dell’UE”, hanno scritto altre due ONG, Counter Balance e Bankwatch.
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