Un’ Europa timida e con pochi poteri sta affrontando con un approccio un po’ svogliato la drammatica crisi innescata dall’offensiva militare della Turchia che una settimana fa ha sfondato le linee siriane e bombarda le zone curde. Un’operazione militare criticata dalla gran parte della comunità internazionale, con una notevole produzione di documenti di condanna di diversi Paesi, Italia compresa, che però finora non trova uno spiraglio di soluzione né con una tregua temporanea, né più duratura, con l’intervento delle diplomazie.
La presenza nella Turchia nella Nato è il vero scoglio che paralizza la situazione. Per decidere ufficialmente per un embargo comunitario degli armamenti “ci vorrebbero dei mesi” ha argomentato l’Alto rappresentante per la Politica Estera, Federica Mogherini, lasciando la scelta ai singoli Paesi.
Ma mentre le truppe di Erdogan avanzano nella caccia ai curdi, non risparmiando le popolazioni civili, costringendo anche le organizzazioni umanitarie alla ritirata, Paesi come Italia e Spagna partecipano a missioni militari a protezione di Ankara. Due Stati che hanno annunciato lo stop alle forniture, seppure solo sui nuovi contratti, che si trovano attualmente impegnati con alcune centinaia di uomini nell’operazione “Active Fence”, sotto il controllo Nato.
Le due basi di Incirlik e Kahramanmaraş con batterie di missili a protezione dello spazio aereo (turco) distano poco più di cento chilometri dal confine siriano. La clausola di intervento prevista dall’articolo 5 del trattato dell’Alleanza atlantica, scatterebbe automaticamente in caso di attacchi esterni al territorio turco, magari nello steso momento in cui i due governi stanno emanando i decreti che vietano l’export di armi.
Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, davanti all’operazione militare scatenata dalla Turchia si è mostrato “preoccupato” per gli effetti di destabilizzazione dell’area, per “le critiche di molti alleati” e per “le conseguenze sui risultati positivi che abbiamo ottenuto combattendo il nostro nemico comune Daesh”. Di questo si discuterà nel prossimo meeting dei ministri della Difesa convocato a Bruxelles il 25 e 26 ottobre.
Ma se anche le cancellerie europee hanno ammesso che la soluzione più efficace per affrontare la nuova crisi, è quella diplomatica, ci si aspetta qualcosa di più concreto di un finto embargo dal Consiglio europeo di questi giorni. Sarebbe l’occasione per mostrare il peso dell’UE che con la Turchia rischia di soccombere davanti al pesantissimo ricatto dell’accordo sui migranti.