A conclusione di una crisi di governo inattesa, dai numerosi colpi di scena e per molti aspetti rocambolesca, che ha appassionato gli italiani in piena estate, l’Italia ha ora un nuovo esecutivo. L’inspiegabile decisione di Matteo Salvini di chiudere bruscamente (e nel momento peggiore) l’esperienza del governo giallo-verde non ha prodotto il risultato da lui sperato di elezioni anticipate, ma una nuova maggioranza tra i Cinque Stelle e il Partito democratico, nel pieno rispetto della lettera e dello spirito della Costituzione.
Nessun ribaltone quindi, anche perché a rigore l’alleanza tra la Lega e i Cinque Stelle avrebbe dovuto esser considerata a sua volta un ribaltone rispetto agli schieramenti annunciati prima delle elezioni del 4 marzo 2018. Ma una nuova alleanza tra due formazioni politiche complessivamente più omogenee, malgrado le differenze di fondo che continuano a caratterizzare le rispettive culture politiche. E un governo che nasce sulla base di un programma apparentemente condiviso (anche se molto troppo generico), anziché di un contratto che si era limitato a elencare una lunga lista di priorità rispettive (e spesso contrapposte) di Lega e Cinque Stelle.
L’incognita della durata e un programma vago
Il quesito che è oggi legittimo porsi è quanto questo governo potrà durare date queste premesse. Ci sono però alcuni elementi, al di là delle vaghe convergenze programmatiche, che lasciano ritenere che questa inedita alleanza possa avere una vita non troppo effimera: un nuovo protagonismo del presidente del Consiglio a cui i due partiti della nuova e inedita coalizione hanno riconosciuto il ruolo di autentico capo dell’esecutivo (e a cui va dato atto di avere saputo prendere le distanze da Salvini al momento giusto); la volontà condivisa di ridimensionare il leader della Lega e il desiderio, ugualmente condiviso, di evitare elezioni anticipate; e infine, in prospettiva, l’intenzione di far sì che sia questo Parlamento ad eleggere nel 2022 il prossimo presidente della Repubblica.
Il programma di governo è troppo vago perché si possa darne un giudizio compiuto. Molto dipenderà da come i vari punti programmatici verranno declinati nell’azione del Governo dei prossimi mesi, a partire naturalmente dalla prossima legge di bilancio e relativa manovra. Ma si può già trarre qualche indicazione perlomeno per quanto riguarda il tema della collocazione internazionale del Paese (su cui a dire il vero il programma spende pochissime e prevedibili parole) e il tema dei rapporti con l’Europa.
La sfida della discontinuità su Europa e politica estera
Su entrambi questi aspetti la sfida maggiore per il nuovo esecutivo sarà quella di prendere le distanze e marcare la più netta discontinuità dall’azione del governo giallo-verde, che si era caratterizzata per scelte sbagliate, incertezze, ambiguità, contraddizioni e per una complessiva perdita di credibilità e peso specifico del Paese sulla scena europea e internazionale. Difficile fare peggio del precedente Governo in politica estera ed europea. Ma la prudenza resta necessaria.
Sul fronte dei rapporti con l’Europa le premesse sono senz’altro positive. Al di là delle prevedibili formulazioni dello scarno programma di governo per una Ue più impegnata a sostegno di crescita e occupazione, con regole più flessibili in materia di disciplina di bilancio e più attenta alla dimensione sociale, colpisce il tono positivo e costruttivo di quelle formulazioni. Siamo ad anni luce di distanza dai proclami sovranisti e anti-europei del governo giallo verde, dalle polemiche contro gli euro-burocrati non eletti, dagli attacchi scomposti contro l’Ue che ci avrebbe imposto camicie di forza.
Premesse europee positive, perplessità internazionali
Ma colpisce ancora di più la scelta di alcune figure chiave per posizioni di particolare responsabilità. Penso naturalmente in primis a Roberto Gualtieri, nuovo ministro dell’Economia, dall’ineccepibile curriculum professionale e reduce da una lunga e brillante prestazione al Parlamento europeo, che sembra essere stato scelto soprattutto per inviare un segnale rassicurante a Bruxelles e alle maggiori capitali europee. Penso anche a Vincenzo Amendola, nuovo ministro delle Politiche europee. E penso infine alla candidatura di Paolo Gentiloni per la posizione di commissario italiano. Tutti nomi che sembrano confermare l’impressione di un governo che vuole effettivamente voltare pagina, e riaprire una stagione di collaborazione costruttiva con le Istituzioni dell’Ue e con i nostri tradizionali partners in Europa, dopo la stagione del sovranismo, degli attacchi polemici all’Ue e delle alleanze sbagliate.
Qualche perplessità può se mai destare la scelta di Luigi Di Maio al ministero degli Esteri in considerazione della sua scarsa conoscenza di dossier di politica estera e di certe pregresse performances sulla scena internazionale. Verrebbe da pensare che il presidente del Consiglio, memore delle sue recenti esperienze nel governo precedente, abbia voluto dirottare Di Maio verso la Farnesina (un incarico che lo costringerà a viaggiare molto) per non avere un interlocutore ‘pesante’ troppo presente Roma e troppo ingombrante nel Governo.
Gli errori da fare dimenticare
A Di Maio alla Farnesina spetterà il compito non facile di fare dimenticare tutti gli errori del precedente governo: dalla erraticità e imprevedibilità complessive della nostra collocazione internazionale, ai rapporti opachi con la Russia, all’eccesso di entusiasmi per la Cina, al caso del Venezuela, alle polemiche con i nostri maggiori partner europei alle inspiegabili aperture di credito per i Paesi di Visegrád.
Dovrà confermare a Washington che l’Italia resta fedele agli impegni e coerente con le linee condivise in ambito occidentale, ad esempio sul tema dei rapporti con la Russia. Dovrà gestire con accortezza il rapporto con Mosca, riconoscendo alla Russia il ruolo di protagonista sulla scena internazionale, ma senza dare l’impressione che ci mobiliteremo senza condizioni per rimuovere le sanzioni.
Dovrà fare capire a Pechino che siamo aperti ad una ambiziosa collaborazione su commercio e investimenti, ma che ci aspettiamo dalla Cina maggiore apertura del mercato interno e protezione degli investimenti esteri. Dovrà infine riprendere l’iniziativa su alcuni dossier di speciale interesse per l’Italia (a partire della Libia), sui quali il Governo precedente ha brillato soprattutto per inerzia.
In conclusione, questo governo sicuramente ci rassicura rispetto al precedente anche sul fronte della collocazione internazionale e del rapporto con l’Europa. Ma l’apertura di credito resta per ora condizionata. Le incognite sono ancora numerose e un giudizio più articolato sarà possibile solo alla luce dell’azione che concretamente saprà sviluppare nei prossimi mesi.
Ferdinando Nelli Feroci è il presidente dell’Istituto Affari Internazionali. Leggi l’intervento sul sito dello IAI.