Roma – Solo qualche mese fa a Bruxelles con la minaccia sovranista sulle imminenti elezioni, si temeva il peggio. La spaccatura del governo italiano nell’elezione di Ursula von der Leyen aveva aumentato le preoccupazioni, con la possibilità che un rappresentante della Lega potesse essere candidato alla Commissione.
In poche settimane, con la complicità (più o meno consapevole) della stessa Lega di Matteo Salvini, il panorama si è completamente ribaltato. Un cambio di passo talmente significativo che la nascita del nuovo esecutivo targato PD-M5S porterà Paolo Gentiloni nella nuova Commissione UE, con la componente socialdemocratica che addirittura supererebbe (10 a 9) quella dei popolari.
La marcatura della scelta europeista del nuovo esecutivo guidato ancora da Giuseppe Conte parte da qui, con un segnale importante impresso dal Partito democratico che ha richiamato da Bruxelles persino Roberto Gualtieri per affidargli la carica di ministro dell’Economia. Terzo tassello, la nomina di Enzo Amendola agli Affari europei, un ruolo altrettanto importante per la continua interlocuzione con gli uffici dell’UE nella gestione delle procedure d’infrazione per le quali siamo da sempre negli ultimi banchi.
Dunque il fil rouge che tiene insieme la formazione dell’esecutivo che ha giurato giovedì nelle mani del presidente della Repubblica è proprio questo, un cambio di rotta: dalla collisione al dialogo con i partner europei. Con l’auspicio che anche il neo ministro degli Esteri Luigi Di Maio remi nella stesa direzione e faccia dimenticare le risse (spesso inutili e controproducenti) con paesi da sempre amici come Francia e Germania.
Naturalmente la strada per far rientrare l’Italia nella sua naturale vocazione europeista di Paese fondatore, non passa solo dalle persone piazzate nei ruoli chiave. Servono scelte precise di programma che non significano accondiscendenza verso qualsiasi indicazione che arriva da Bruxelles ma dialogo e partecipazione a una comunità che ci ha sempre visto protagonisti. Serve partecipare quando si decide, perché “se non ti siedi al tavolo sarai sul menù” diceva l’antico proverbio orientale, ed è quello che è accaduto quando abbiamo snobbato l’Europa, nel nome di un sovranismo utile solo ad uso di un consenso interno.
Italia che riaggancia l’Europa significa dunque riprendere in mano dossier delicati come quelli sull’immigrazione e della modifica del regolamento di Dublino per governare e gestire un fenomeno che solo insieme agli altri 26 Paesi membri è possibile fare. Chiudere da soli i porti non solo è stato inumano e contrario ai valori di civiltà ma non è servito ad arginarlo.
L’altra partita di vitale importanza sarà quella della stabilità finanziaria che spesso abbiamo interpretato come un freno alla nostra economia, mentre con la nuova legislatura europea è possibile inaugurare un percorso virtuoso e insieme di sviluppo, specialmente se sapremo indirizzare la flessibilità concessa in investimenti produttivi. L’agenda green già tracciata nel programma von der Leyen per il nuovo esecutivo europeo sembra fatta apposta per essere fatta propria dall’Italia come uno dei Paesi guida, e sarebbe un errore lasciar cadere questa occasione. La prima alleanza programmatica da portare a Bruxelles per il governo M5S-PD potrebbe partire proprio da qui.