Roma – Il decreto sicurezza bis passa l’esame della fiducia, la maggioranza gialloverde non corre pericoli. Ieri i numeri non hanno tradito il ministro dell’Interno Matteo Salvini, padre della nuova stretta contro le Organizzazione non governative (ONG) e di multe salatissime per chi salva le persone in mare. I conti fissano a 160 i voti a favore, con pochissime (cinque) defezioni del M5S e le astensioni delle opposizioni di destra Forza Itali e Fratelli d’Italia. I voti contrari arrivano dal centrosinistra del Pd e da Liberi e Uguali.
Le norme già applicate lo scorso giugno in occasione dello sbarco della Sea Watch a Lampedusa e contro la comandante Carola Rackete che violò le disposizioni del governo che impediva lo sbarco. La conversione in legge del decreto ora mette le norme italiane davanti alle convenzioni internazionali che prevedono degli obblighi precisi e sui quali gli stessi magistrati che hanno trattato il caso della Sea Watch si sono trovati a decidere.
Chi salverà i naufraghi, siano ONG o armatori privati, si troverà davanti al dubbio se infrangere la legge italiana o quella del mare che obbliga ogni marinaio a prestare sempre soccorso. Il conflitto con le norme internazionali mette in qualche difficoltà l’Italia, la linea per un cambio di marcia per la gestione dei migranti discussa solo qualche giorno fa tra la presidente Ursula von der Leyen e il premier Conte, rischia di finire subito in soffitta.
Le nuove norme prevedono che il Ministro dell’Interno possa “limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale” per motivi di sicurezza, quando si pensa sia stato compiuto il reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Ordine che deve esser controfirmato dai ministri dei Trasporti e della Difesa, che però nelle occasioni precedenti non hanno mai contrastato le scelte di Salvini.
Le violazioni prevedono sanzioni per le ONG da 150 mila fino a un milione di euro per il comandante della nave e come sanzione aggiuntiva è previsto il sequestro e la confisca dell’imbarcazione che dopo due anni diventa di proprietà dello Stato. È previsto anche l’arresto obbligatorio in flagranza di reato nei confronti del comandante che commette un delitto di resistenza o violenza contro navi da guerra. Un’altra novità riguarda le indagini che su questo tipo di reato vedono spostare la competenza giudiziaria alle procure distrettuali antimafia, che potranno disporre anche intercettazioni e operazioni sotto copertura.
A fronte di tanti ostacoli per chi salva vite umane in mare gli sforzi finanziari sono irrisori. A cominciare dai fondi: 500 mila euro per il 2019, un milione e mezzo per il 2020 e il 2021 da destinare ai rimpatri e per le operazioni di polizia.
La stretta prevede anche il Daspo fino a cinque anni per gli ultras anche per le violenze compiute all’estero e inasprimento delle pene per chi nei cortei indossa caschi e usa razzi o petardi.
Gli annunciati voti dissidenti del Movimento 5Stelle non hanno impensierito la maggioranza e pure i senatori che avevano segnalato qualche malumore contro le norme di sicurezza imposte dall’alleato leghista, alla fine della conta hanno fatto marcia indietro o con l’uscita dall’aula o con il sì seppur sofferto. Neppure l’appello accorato dell’ex e ufficiale di Marina Gregorio De Falco ha sortito effetti: “Evitate questa nefandezza, votate con la schiena dritta e non per ordini di scuderia, sono regole criminogene che non frenano gli sbarchi ma significano solo la morte di centinaia di persone tra cui bambini, padri e madri”. Dure le proteste a sinistra che denuncia la “disumanità di una legge che punisce chi salva i naufraghi” e non offre soluzioni per la gestione dell’immigrazione”.
È invece “una bella giornata, con più poteri agli uomini in divisa e più controllo alle frontiere” dice Matteo Salvini che arriva in Senato giusto in tempo per il voto finale e al solito ironizza sulle domande scomode e non risponde sul Russia gate. Poi nonostante la fedeltà rinnovata da parte degli alleati attacca: “Sono stanco degli insulti che mi arrivano da mesi non dalle opposizioni ma dagli alleati”. La nuova minaccia è riferita al voto delle mozioni sull’alta velocità previsto per domani nella stessa aula del Senato.