Bruxelles – Continua a scendere l’inflazione nell’Eurozona. A luglio ha toccato quota 1,1%, secondo i dati preliminari diffusi da Eurostat. Si tratta di una contrazione rispetto al valore di giugno (1,3%). Incide sulla nuova frenata la diminuzione del costo dell’energia (-1,1 punti percentuali) e del costo dei servizi (-0,4 punti percentuali).
La situazione non piace alla Banca centrale europea. In occasione dell’ultima riunione del consiglio direttivo, il presidente della BCE, Mario Draghi, ha avvertito del calo dell’economia per effetto delle troppe incertezze a livello globale. Ha ribadito “la necessità di un orientamento di politica monetaria altamente accomodante per un prolungato periodo di tempo, poiché i tassi di inflazione, effettivi e previsti, si sono collocati persistentemente al di sotto di livelli in linea con il valore” del 2%, ritenuto ottimale per il funzionamento economico.
I dati Eurostat di oggi, dunque, non sorprendono. Non a Francoforte, almeno, dove il consiglio direttivo della BCE si dice “pronto ad adeguare tutti i suoi strumenti, ove opportuno, per assicurare che l’inflazione si avvicini stabilmente al livello” del 2%.
L’inflazione misura l’aumento del costo di beni e servizi. E’ vero che un livello basso di inflazione è un bene per famiglie e consumatori, che hanno dai loro redditi un maggiore potere d’acquisto. Però una diminuzione del costo di bene e servizi può essere frutto anche di una calo della domanda. Un calo delle domanda fa crollare i prezzi dell’offerta, ponendo un danno per la produzione.
La deflazione rischia di portare tutto questo, e il fatto che il costo della vita sia sempre più lontano dai valori di riferimenti ritenuti “sicuri”, vale a dire il 2%, induce la BCE a correre ai riparti.