Bruxelles – Boris Johnson è il nuovo leader dei Conservatori britannici. Ha vinto la corsa interna al partito scalzando anche l’ultimo sfidante, Jeremy Hunt, con il doppio dei voti, 92.153 a 46.656, il 66 per cento delle preferenze. La vittoria apre automaticamente a Johnson le porte del numero 10 di Downing Street. Domani diventerà il 77esimo premier britannico. Succede a Theresa May, che si è dimessa dalla testa del partito il 7 giugno dopo le ripetute bocciature dei Tories all’accordo di uscita negoziato con l’Unione europea, e che lascia l’esecutivo.
Il Tributo a May
Il primo passaggio del suo discorso da neo leader dei Tories, dopo i ringraziamenti di rito, è dedicato proprio a Theresa May. Johnson la ringrazia “per il servizio reso al partito e al Paese”, e ne tesse le lodi per “la passione e la determinazione” mostrate durante il suo mandato, con la platea che tributa un forte applauso alla leader uscente.
Al lavoro
Johson promette di “andare avanti con il lavoro”. La non semplice partita della Brexit sarà la principale questione politica per il nuovo capo dei conservatori britannici. A Londra è stato concesso fino al 31 ottobre per trovare una via d’uscita ordinata, e dunque Johnson corre contro il tempo. “Dobbiamo realizzare la Brexit, ricompattare il Paese e sconfiggere Jeremy Corbin”, leader dei laburisti, dice Johnson alla platea che gli risponde con scroscianti applausi. I tre obiettivi, sottolinea, rappresentano “il mantra” della sua campagna elettorale, che intende attuare. “Vi ringrazio per l’onore che mi avete dato”.
Conservatori e governo in crisi, lasciano in tre
Per prima cosa Johnson dovrà però cercare di ricompattare i Tories, più divisi che mai. Non sarà un compito agevole il suo, visto che la vittoria per la guida del partito è stata accompagnata da un vero e proprio ammutinamento interno. Sir Alan Duncan si è dimesso ieri da ministro per l’Europa e l’America in segno di protesta. Non ha voluto attendere l’esito del confronto e lasciare l’incarico per il solo fatto che Johnson potesse diventare capo del partito e primo ministro. Il segretario alla Giustizia, David Gauke, ha voluto invece attendere di vedere come sarebbe andata a finire, anticipando però di uscire dall’esecutivo in caso di affermazione di Johnson.
Stamattina, poco prima dell’annuncio del risultato, si è dimesso anche il ministro aggiunto per le competenze e l’apprendistato, Anne Milton. Il motivo del gesto sono le “gravi preoccupazioni” per la prospettiva di lasciare l’UE senza un accordo (cosa che Boris Johnson afferma che i ministri devono accettare come opzione se vogliono prestare servizio nel suo gabinetto). Un atto vero e proprio di sfiducia nei suoi confronti.
Il nodo Brexit e l’ascesa dei liberali, contrari alla Brexit
Boris Johson però ce l’ha fatta. Ha assunto il comando (in realtà diventerà prima ministro solo domani), ma bisognerà vedere che tesoro saprà farne. Tutt’attorno al nuovo leader conservatore la situazione è esplosiva. E’ alla testa di un partito diviso, e di un governo menomato. Dovrà trovare qualcuno capace di riconoscere in lui un leader vero. Una cosa non scontata, tra i Tories di oggi.
Come se non bastasse i partiti di opposizione mettono sotto ulteriore pressione la maggioranza. Johnson ha detto di volere la Brexit a tutti i costi alla fine di ottobre, con accordo o senza. Una linea politica che ha risvegliato i laburisti. Il leader di questi ultimi, dopo due anni di titubanze, si è schierato apertamente per un secondo referendum. Anche nel Labour c’è chi vorrebbe un’uscita dall’Unione europea, ma c’è una maggiore consapevolezza della necessità di farlo in modo ordinato. Un’uscita alla Johnson, senza intese di alcun genere, è considerata come insostenibile.
L’ascesa di Johnson, prima ancora della sua vittoria, sembra aver dato nuova linfa ai laburisti, dunque. Certamente ha rilanciato i liberal-democratici, in crescita nei sondaggi e attualmente terza forza del Paese. Jo Swinson è la nuova leader del partito. E’ la prima donna a ricoprire l’incarico. E’ dichiaratamente anti-Brexit, come il partito di cui ha appena assunto le redini. “Il Regno Unito merita di meglio di Boris Johnson”, le sue prime parole dopo aver vinto le elezioni interne (47.997 voti contro i 28.021 voti dello sfidante Ed Davey). “Se credete che il nostro Paese meriti di meglio, se credete che possiamo fermare la Brexit, e se credete che possiamo fermare Boris Johnson, Nigel Farage e Jeremy Corbin, unitevi a noi”.
Liberali pronti a lavorare coi laburisti anti-Brexit
La nuova leader dei LibDem apre la porta ad una collaborazione con i laburisti, a condizione che ne cambi il segretario. Agli occhi dei liberali Corbyn “è un Brexiter di cui non ci si può fidare”. Quindi, dice Swinson, “in caso di elezioni combatterei come leader di un partito liberale che non ha mai lasciato spazio a equivoci” sulla questione dell’appartenenza all’UE. “Ci sono molte persone nel partito laburista con cui lavoro e con cui posso lavorare”, ma non Corbin.
Scozia sempre più lontana dall’Inghilterra
Non nasconde “profonde preoccupazioni” neppure il primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon. Teme il peggio, perché teme che Johnson non sia il meglio che Londra abbia da offrire, e ricorda che la Scozia può uscire dal Regno Unito se il Regno Unito lascia l’UE, specie se senza regole. Su Boris Johnson gravano anche le pressioni scozzesi. Sturgeon l’ha già detto in tempi non sospetti: la Scozia vuole l’UE, e poco importa se questo dovesse comportare l’indipendenza.
“Mi congratulo con Boris Johnson per la sua elezione come leader dei conservatori. Tuttavia, ho profonde preoccupazioni per la prospettiva del suo primo ministro e sarebbe ipocrita non essere sincero riguardo a ciò”. Quelle di Sturgeon sono “preoccupazioni che sono certa saranno condivise dalla stragrande maggioranza degli scozzesi”. A suo giudizio, “se la gente in Scozia avesse avuto voce in capitolo, non avrebbe scelto di consegnare le chiavi del Numero 10 a qualcuno con le sue opinioni e la sua esperienza”.
Sturgeon ricorda che la Scozia è contraria all’uscita dall’UE. “La Brexit di qualsiasi tipo sarebbe profondamente dannosa per la Scozia e il resto del Regno Unito”. L’impegno assunto pubblicamente da Johnson di lasciare l’Unione europea comunque entro il 31 ottobre anche senza accorda “è contraria alla logica, al buon senso o qualsiasi considerazione di base per il benessere delle popolazioni e delle nazioni del Regno Unito”.