dall’inviato
Strasburgo – Manfred Weber rinuncia. Fa il passo indietro che il partito popolare (PPE) cercava per uscire dall’impasse e salvare il salvabile. Missione compiuta, ma fino a un certo punto. Perché il puzzle delle alleanze in Parlamento non si compone e il candidato designato alla guida dell’esecutivo comunitario (Spitzenkandidat) lascia non senza qualche malumore. “Oggi è un giorno difficile per me. Il pacchetto su tavolo non il mio del pacchetto, è quello del Consiglio”, scandisce in conferenza stampa.
Il bavarese sa di essere stato tradito. Dal suo stesso partito, innanzitutto, incapace di garantirgli l’appoggio necessario nel consesso degli Stati membri, il Consiglio appunto. I cristiano-democratici hanno voluto difendere Weber a spada tratta perché non sapevano come evitare di vanificare il processo di designazione dei candidati. Serviva il passo indietro id Weber. Che arriva in tarda serata, quando i giochi a Bruxelles sono fatti. “Ho deciso di rimettere il mandato che mi era stato affidato nove mesi fa”, dice Weber riferendosi a quello di guidare l’esecutivo comunitario. Ma l’annuncio arriva dopo che i leader hanno comunicato il nome di Ursula von de Leyen.
La resa di Weber è solo il primo dei pezzi che perde l’Ue. Chi ha avuto modo di seguire da vicino i lavori del primo partito europeo giura che i tedeschi del PPE, e dunque gli uomini della CDU della cancelliera Angela Merkel, non hanno fatto i salti di gioia nell’apprendere il nome della vincitrice. Anzi. A favore delle adozioni gay, per il salario minimo, problemi con la giustizia alle spalle. Troppo a sinistra e attaccabile. Il PPE esce dal negoziato sulle nomine con le ossa rotte, e non è che l’inizio.
Già, perché i Verdi non accettano il compromesso trovato a Bruxelles. Vuol dire che sono pronti a non votare per il candidato designato alla successione di Jean-Claude Juncker. Questo può voler dire crisi istituzionale. “Non sono sicuro che gli altri gruppi maggiori voteranno compatti su questo pacchetto”, ragiona una fonte dei Greens. PPE, S&D e RE insieme basterebbero ad avere la maggioranza in Aula, a patto che votino tutti a favore. In caso contrario, senza il sostegno dei Verdi, Von de Leyen rischia di cadere in Parlamento.
“Abbiamo due settimane per risolvere il pasticcio compiuto dai popolari”, dice la stessa fonte. I Verdi non abbandonano il tavolo delle trattative, non adesso. Ma “se loro si tirano indietro, anche noi ci tireremo indietro”. Un ragionamento che sa di avvertimento. Non un bel modo per iniziare la nuova legislatura europea.
La vera partita rischia però quella per la poltrona del Parlamento europeo. I Verdi reclamano quanto meno metà della legislatura per Ska Keller. Il fatto di avere una tedesca alla testa della Commissione europea complica però le cose. I socialisti corrono con David Sassoli, scelto all’ultimo momento utile al termine di una riunione conclusa poco prima delle 22, termine entro cui si dovevano presentare le candidature. Il PPE non ha presentato candidati per questi primi due anni e mezzo. Formalmente in corsa ci sono anche Sira Rego (GUE, Spagna) e Jan Zarhadil (ECR, Repubblica ceca), ma se sul nome di Sassoli dovessero convergere, come sembra, i voti di popolari e liberali, i Verdi resterebbero fuori dai giochi.
Weber è il grande sconfitto di questi giorni concitati di negoziazioni politiche. Ma i Verdi sono i grandi esclusi dalle spartizioni di cariche e compiti che rischia di produrre strascichi sul prosieguo della legislazione europea, mai come questa volta così carica di tensioni fin dalle prime battute.