Una muraglia anti-immigranti sulla frontiera italo-slovena è un’idea tanto infelice quanto irrealizzabile. Chi conosce la morfologia dell’isontino e del Carso triestino sa benissimo che erigere anche solo reticolati sulle ripide dorsali fra dirupi e doline sarebbe un’impresa impossibile. Non lo fece il comunismo titino quando questa era la frontiera della guerra fredda e non sarà certo il nostro inane governo ad avventurarsi in un’opera faraonica e costosa.
Chi ne afferma la necessità lo fa per propaganda politica, per provocazione, per altri fini che non hanno nulla a che vedere con il problema dell’immigrazione. Il solo affermare questa velleità è irresponsabile e antistorico. È un’evocazione di tempi oscuri che credevamo di esserci messi alle spalle per sempre.
Uno dei motivi per cui la frontiera italo-slovena non è riducibile a trincea è che non è una frontiera. La vecchia linea di confine oggi è quella della Terza Guerra di Indipendenza. Un dato che sarebbe da ricordare: ecco quanta espansione territoriale ci sono valse due guerre mondiali. Solo l’angusta striscia di terra da Gorizia a Trieste è la “conquista” che ci rimane dopo milioni di morti. Stretta da una frontiera che da allora divide innaturalmente un territorio omogeneo dove il mondo slavo e quello latino si sono sempre mescolati. La sua scomparsa, grazie all’Unione europea, ha ridato omogeneità e respiro a terre dilaniate dalle guerre degli opposti nazionalismi che hanno cercato invano di tracciare una linea di divisione dove la mescolanza è sempre stata la normalità. Città martiri come Trieste e Gorizia, che in questi anni sono rifiorite grazie alla libera circolazione che ha portato nuovi commerci e flussi di turisti, non accetteranno mai di essere di nuovo rinchiuse dietro il filo spinato.
Questa regione a cavallo fra Alpi e Adriatico è una delle tante parti d’Europa che le frontiere hanno a lungo snaturato e a cui solo la pace europea ha ridato il proprio posto nella geografia e nella storia del continente. Una terra di passaggio e di incontro, di mescolanza e di poliglossia, un’Europa in miniatura dove la diversità culturale è nell’individuo e nelle famiglie prima che nelle città e nella società. Parlare di muri qui è un gesto grave che lancia ai nostri vicini un messaggio inquietante, di regressione al passato, di chiusura e di minaccia. Può venire solo da persone che non conoscono queste terre o che le conoscono fin troppo bene e sono pronte anche a ridare fuoco alle micidiali polveri della storia pur di accaparrarsi il favore di qualche scalmanato xenofobo.