Bruxelles – Diciotto ore di incontri a ventotto, a due , a quattro, a sei, in ogni formato, ad ogni ora e poi la resa: ci vediamo domani alle 11.00, e se necessario ceniamo anche insieme. I Capi di Stato e di governo dell’Unione europea non riescono a comporre il puzzle delle nomine alle posizioni di vertice e dunque si prendono una giornata di pausa del Consiglio europeo per continuare a trattare al telefono, o di persona, per arrivare a un’intesa. “Non siamo andati al voto perché nessun candidato avrebbe avuto la maggioranza. E un margine troppo stretto avrebbe comportato problemi futuri”, ha spiegato Angela Merkel, che appare la grande sconfitta di questa operazione.
Ad aver guadagnato qualcosa da questo Consiglio europeo fallimentare è però l’Italia: domani la Commissione avrebbe dovuto riunirsi per decidere come procedere (e anche se, a quanto dice il governo di Roma) nella procedura per il debito eccessivo e invece non lo farà. “Prima di tutto va risola la questione nomine”, spiegano a Bruxelles, e dunque ci saranno almeno un giorno due di respiro, se non un’intera settimana, perché Giuseppe Conte e i suoi litigiosi ministri possano definire la proposta italiana.
Non è che in passato i nomi dei capi delle istituzioni europee venissero fuori dal cappello in poche ore, la tempistica non è ancora drammatica, ma il clima è molto più pesante del solito. In questi anni gli animi si sono esacerbati, la Brexit, l’economia che non riparte, le dispute sull’immigrazione, sullo stato di diritto hanno creato fratture difficili da risanare, mentre si discute del prossimo bilancio pluriennale che, senza Londra, sarà più povero, il Partito popolare, il maggior partito europeo, che ha commesso errori storici e fondamentali, la stella polare di Angela Merkel si oscura e trova sempre più opposizione anche nel PPE. Inoltre la maggioranza si è allargata, e tutto questo ha bisogno di tempo per essere gestito.
Il clima però è pesante, dicevamo. Il presidente francese Emmanuel Macron ha lasciato il Consiglio ieri mattina, dopo 18 ore infruttuose di riunione, dicendo che “non possiamo confrontarci con i leader mondiali, in in mondo sempre più duro, ed essere un club che si incontra a ventotto senza mai prendere una decisione!”. Macron è arrabbiato anche perché lui vorrebbe prendere il ruolo di Merkel, essere il “king maker”, ma non sembra riuscirci. Dunque era molto di cattivo umore ieri mattina, e spiegava che si dovrebbero prendere lezioni dal “fallimento del summit”, sostenendo che non approverà alcun allargamento dell’UE fino a che non ci sarà una “profonda riforma” di come l’Unione funziona.
Macron non ha parlato di allargamento a caso, perché a creare problemi sono stati in particolare i Paesi entrati più di recente, quelli dell’area dell’ex Unione sovietica, che, come l’Italia, si sono schierati contro il socialista olandese Frans Timmermans alla guida della Commissione. I Paesi dell’Est lo hanno fatto perché in questi anni l’olandese ha lavorato molto sullo stato di diritto, aprendo procedure (tutte vittoriose) contro i governi che hanno lavorato a smontarlo. Forse anche per questo il leader della Lega Matteo Slavini lo ha bocciato, dicendo che l’Italia non sosterrà mai un uomo di sinistra, ma avendo forse in mente anche altro.
Su Timmermans però la convergenza resta larga, e resta il nome sul quale si lavora, anche perché, come ha ammesso Giuseppe Conte, la contrarietà che sarebbe stata espressa da una decina di paesi è “con motivazioni diverse”. Dunque il nemico è uno, ma le ragioni non sono le stesse, non è un vero “gruppo di blocco”. L’Italia, dice Conte per non far sembrare che la decisione l’abbia prese, coma ha fatto, Salvini, “non ha nulla contro Timmermans, persona di valore ed esperienza”, ma non le è piaciuto il “metodo” con il quale si è arrivati al suo nome (l’accoro raggiunto a margine del G20 di Osaka tra Francia, Germania, Spagna e Olanda). In sostanza lo si è scelto senza prima chiedere il parere a Conte, e dunque quella del “metodo” è diventata la ragione del premier, che contribuisce a bruciare, forse, uno dei pochi candidati che hanno una sincera simpatia per l’Italia, Paese dove Timmermans ha passato l’adolescenza.
Il nodo principale è il presidente della Commissione, e se non si scioglie quello anche gli altri restano serrati. Ne sono stati fatti tanti, poi si è arrivati a una manciata, come quelli di Kristalina Georgieva, bulgara e popolare, presidente della Banca Mondiale, che qualcuno vorrebbe alla guida del Consiglio europeo, o anche il liberale Belga Charles Michel, premier uscente, che si vorrebbe come Alto rappresentante. Ma le carte sono ancora da distribuire e le candidature salgono e scendono. Sovente, secondo un vecchio adagio, chi entra in Conclave papa esce poi cardinale. Però, il tempo stringe, mercoledì, il 3 luglio, il Parlamento dovrà eleggere il suo presidente, e farlo fuori da un accordo complessivo potrebbe da una lato riservare sorprese sgradite a qualcuno o comunque far saltare l’equilibrio complessivo che si vorrebbe creare.
Per Strasburgo il nome che sembra più forte è quello di Manfred Weber lo spitzenkandidat dei popolari, sostenuto da Merkel, in un primo atto evidente a tutti della sua parabola discendente. Weber non ha i numeri per fare il presidente della Commissione, non ha il carattere, la cultura, la storia politica o amministrativa. Non è mai stato neanche ministro, come potrebbe trattare da parti a parti con Donald Tusk o Vladimir Putin, o anche con un qualsiasi premier europeo? I Popolari hanno creduto di poterlo imporre comunque, di poter soddisfare le esigenze dei propri equilibri interni, di essere sempre il “partito padrone”, e Merkel cedette, diede il suo placet, anche se è sembrato controvoglia. Ma non ha saputo o potuto trovare una proposta alternativa. Nessuno a Bruxelles ha mai creduto che Weber potesse davvero diventare presidente della Commissione e così accadrà, ma il problema è che questo ha “incartato” il popolari, che non possono accettare altri nomi diversi dal suo e si sono bruciati grandi personaggi come Michel Barnier. Hanno però imposto di restare nell’ambito degli spitzenkandidat, e così il secondo nome, questo assolutamente all’altezza anche se non è mai stato premier, è quello di Timmermans, su quale, obiettivamente, è però difficile far coagulare il consenso di tutti, compresi molti leader del PPE come il premier irlandese o quello lettone che hanno detto “no” alla proposta di Merkel (anche se tutti non servono: Jean-Claude Juncker fu respinto da britannici e ungheresi, ma passò lo stesso).
Dunque si è arrivati alla triste nota di Donald Tusk, che oggi poco prima di pranzo ha sospeso i lavori per riconvocarli domani alle 11, con una postilla: “Se necessario, l’incontro continuerà con una cena di lavoro”. E l’Italia però ci guadagna un rinvio della Commissione che deve decidere il suo destino.