Bruxelles – Sulla nomine è tutto fermo. Passi avanti veri e propri sui posti chiave delle istituzioni comunitarie non ve ne sono stati, neppure dopo gli incontri tenuti dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, con i presidenti dei gruppi parlamentari.
Incontri separati iniziati nella prima mattinata, quelli ospitati da Tusk in Consiglio. Incontri che non sono andati a buon fine, e non poteva essere diversamente. La trattativa negoziale è tutta nelle mani dei capi di Stato e di governo, che però non sono riusciti a trovare un accordo. Tusk ha avuto in effetti poco da offrire ai suoi interlocutori, che a loro volta non hanno offerto molto.
Ufficialmente il processo dei candidati designati (Spitzenkandidat) “non è morto, e quindi tutte le opzioni restano sul tavolo”, sintetizzano persone ben informate. Dunque i popolari (PPE) insistono a portare avanti la candidatura di Manfred Weber, e di conseguenza le altre famiglie politiche impegnate nella trattative – socialdemocratici, liberali e verdi – non arretrano. Tanto che il capogruppo dei socialdemocratici, Iratxe Garcia Perez, conferma l’opzione socialista. “Ho ribadito a Tusk l’impegno per il processo dello Spitzenkandidat e la nostra convinzione che Frans Timmermans sia in grado di avere la maggioranza in Parlamento per la presidenza della Commissione”. Tutto come al punto di partenza, dunque. Lo stallo prosegue.
“Tusk lavorerà molto per telefono”, assicurano gli addetti ai lavori. Sarà in contatto con i leader europei maggiormente coinvolti nelle trattative, prima di partire per il Giappone. E’ qui, a margine dei lavori del G20, che Tusk cercherà con i leader di Germania e Francia, Angela Merkel ed Emmanuel Macron, di uscire dall’empasse. Il Regno Unito ha già fatto sapere che causa Brexit si asterrà e dunque non è della partita, l’Italia, che pure sarà a Osaka, ha partiti di governo che in Europa siedono tra i banchi dell’opposizione. Non sarà Giuseppe Conte a sciogliere il bandolo della matassa, allo stato attuale ancora estremamente intricata.
Il PPE continua a rivendicare per sé il ruolo della Commissione europea, ma liberali e socialdemocratici continuano a non volerne sapere di Manfred Weber. Il PPE cerca di difendere il processo di Spitzenkandidat e minaccia veti sulla Francia. “Se l’esecutivo comunitario non va a un tedesco, allora non può andare a un francese”, uno dei ragionamenti espressi tra le fila dei popolari. Un rifiuto che affossa le candidature di Michel Barnier, capo-negoziatore per la Brexit, e che inevitabilmente mette Angela Merkel ed Emmanuel Macron l’una contro l’altro.
Il PPE dovrebbe mettere sul tavolo un nome ‘neutro’. La bulgara Kristalina Georgieva, attualmente alla guida della Banca mondiale, ex commissario europeo e un trascorso nella Banca europea per gli investimenti (BEI), potrebbe prendere quota. Ma nessuno si sbilancia. Al termine dei meeting di questa mattina in Consiglio si resta abbottonati. “E’ il secondo round di incontri…”, ci si limita a dire. Parole che però indicano che serviranno altri incontri.
“Non è stato deciso ancora nulla”, tagliano corto dal Parlamento, senza aggiungere nulla di veramente nuovo. Spetta ai capi di Stato e di governo trovare una quadra, e in fretta. Il 2 luglio in ogni caso il Parlamento europeo eleggerà a scrutino segreto il proprio presidente. Senza un accordo si rischia “una corsa al ribasso”, e cioè che nessuno voti per vincere, ma per lasciare agli altri lo scranno più alto dell’Eurocamera così da poter rivendicare con forza e rinnovata legittimità la poltrona di altre istituzioni, prima fra tutte quella della Commissione europea.
Un simile scenario aprirebbe però la strada a crisi istituzionali, con ripercussioni sull’attività dell’intera legislatura. I mal di pancia rischierebbero strascichi dagli effetti difficili da stabilire, ma certamente più di ostruzione che costruzione. L’altra opzione sarebbe quella di tenere fuori dal pacchetto di nomine quelle del Parlamento, per concentrarsi sulle alte cariche (presidenze di Commissione UE, Consiglio europeo, BCE, più Alto rappresentante). Ma si resta nel campo delle ipotesi, a riprova di quanto tutto sia ancora in salita. C’è tempo fino al vertice straordinario di domenica per evitare il peggio. Ci sarà tempo.
Intanto domani i capigruppo si ritrovano in Parlamento europeo per discutere dell’agenda strategica, il programma di lavoro per la legislatura comunitaria al via dal 2 luglio. I verdi non hanno digerito il dietrofront sugli impegni per il clima con la cancellazione degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra al 2050. Anche questo non aiuta a creare consenti attorno a un tavolo ancora profondamente frammentato.