Bruxelles – Gli Stati devono fare le riforme e fare squadra. La ricetta di oggi è uguale a quella di allora, solo che ora c’è molto più sovranismo. Alle difficoltà del passato si aggiungono quelle del presente, che frenano lo sviluppo dell’Europa, soprattutto della sua dimensione politica su scala globale. Marco Buti, responsabile della direzione generale Affari economici della Commissione europea (DG Ecfin), ripercorre la storia dell’Europa e cerca di tracciarne un percorso per il futuro, prossimo e no. “C’è la necessità di coniugare breve periodo e medio termine”, dice alla platea del Brussels Economic Forum, l’appuntamento annuale della GD Ecfin per discutere le sfide economiche e cercare di dare risposte.
“E’ una settimana abbastanza carica, con un vertice del Consiglio europeo, un riunione dello Eurosummit e decisioni importanti da prendere, con la possibile nomina dei vertici delle principali istituzioni comunitarie”, dice riferendosi all’agenda politica, che prevede la riunione dei capi di Stato e di governo dell’UE il 20 e 21 giugno. “La nostra ambizione è offrire loro l’agenda per i prossimi cinque anni”. Non sarà facile. Qualunque cosa si deciderà di mettere sull’agenda servirà un lavoro di squadra.
“Servono azioni a livello nazionale e a livello europeo per dare forma al nuovo ordine globale”, ricorda Buti. Questo implica l’obbligo di fare le riforme che si rendono necessarie. Parole che suonano come invito in particolare all’Italia, di cui non fa nome né riferimento, Paese che in queste settimane è al centro di continui richiami dei partner europei per il mancato rispetto degli obblighi di politica di bilancio. Ma soprattutto, e anche un pensiero corre all’Italia, non è tempo per sovranismi nazionalisti. “Stiamo affrontando sfide che richiedono risposte coordinate, attraverso la collaborazione di bilancio”. L’importanza di non isolarsi è fondamentale, e il responsabile della direzione generale Ecfin sottolinea quanto sia “assolutamente necessaria le cooperazione tra Banca centrale europea (BCE) e governi”.
La frammentazione, di per sé, non è stata un buon modello. Ricorda che Tommaso Padoa Schioppa, ex ministro dell’Economia e grande sostenitore dell’euro. Lui, alla BCE nel 1998 e fino al 2006, ricorda Buti, “era stanco delle classiche allocazioni di compiti secondo cui la stabilità fiscale e finanziaria spetta all’Europa e la crescita e l’equità dipendono dagli Stati membri”. Già allora, ormai oltre vent’anni fa, “diceva che questa divisione non era un equilibrio politico, e guardando la situazione questa sembra avere ragione”, dice Buti.
Il futuro passa dunque per più Europa e meno Stati, meno frammentazione e demarcazione delle competenze. Serve dunque più Europa, antidoto alle forze che l’Europa intendono indebolirla. “C’è la sensazione che il paradigma economico stia slittando, così come quello politico, e che la popolazione non sia pronta a cogliere le risposte fatte e consolidate senza porsi domande”. E’ questo il fenomeno del populismo, a cui tutti devono dare risposta. Lavorando insieme.