dall’inviato
Lussemburgo – I principi ci sono. Ora “serve ancora molto lavoro” per tradurli in pratica. Dopo una riunione fiume di oltre 15 ore, gli Stati dell’UE con la moneta unica hanno trovato accordi di massima sulla struttura del bilancio dell’Eurozona. E’ stata trovata una prima quadra di quello che si chiama ‘strumento di bilancio per la convergenza e la competitività’, dicitura che altro non è che il bacino di risorse proprie dell’area euro. Lo strumento farà parte del bilancio dell’UE, e le sue dimensioni saranno determinate nel contesto del bilancio pluriennale (MFF 2021-2027), secondo l’intesa raggiunta dai Ventotto riuniti nel formato allargato dell’Eurogruppo.
E’ stato proprio il punto delle risorse specifiche per i Paesi dell’Eurozona, ad aver protratto i lavori fino all’alba. Lo strumento è aperto anche a tutti gli Stati membri senza moneta unica che intendono partecipare. Non è chiaro come verrà finanziato, da dove verranno queste risorse, chi e come le fornirà, ed è su questo che ora gli Stati membri dovranno lavorare. Cifre non ufficiali non ci sono, ma si ragiona su una dotazione iniziale di una ventina di miliardi di euro per l’intero ciclo di bilancio. Non molto, se così fosse. Ma il cambio di marcia c’è.
“Sono anni che chiedo la creazione di un budget dell’area euro, con alcuni Stati membri contrari anche solo al principio di un bilancio dell’eurozona”, sottolinea il commissario per gli Affari economici, Pierre Moscovici, nel corso della conferenza stampa convocata di primo mattino. “Questo è un passo verso la giusta direzione. Ora spetterà ai leader e a noi decidere i passi successivi”.
Chi metterà i soldi, in che misure e in che quantità si vedrà. Intanto i ministri si dicono d’accordo su tutta una serie di principi. Uno, che rischia di penalizzare Paesi come l’Italia, è quello delle condizionalità. Perché se da una parte gli Stati si dicono d’accordo sull’idea per cui lo strumento “dovrebbe di norma sostenere sia le riforme strutturali sia gli investimenti pubblici”, dall’altra parte, si mette sin da ora nero su bianco che “l‘accesso al finanziamento degli Stati membri dipenderà dall’attuazione delle riforme strutturali e degli investimenti, dal rispetto della condizionalità macro-economica applicabile prevista dal regolamento sulle disposizioni comuni e dal rispetto delle norme orizzontali applicabili all’attuazione del bilancio dell’UE (ad esempio regolamento finanziario)”.
Detto in termini più semplici, chi non si impegna a tenere i conti in ordine – quindi ridurre deficit e debito – e chi non fa le riforme si vedrà negati i fondi del bilancio dell’Eurozona. I quali, quando concessi, verranno erogati “a rate, subordinatamente all’adempimento delle tappe concordate”. Praticamente è il modello dei prestiti utilizzato per i programmi di assistenza finanziaria di Grecia, Irlanda e Portogallo. E’ lo stesso principio. Fondi concessi in tranche, con esborso legato al compimento delle riforme.
Sarà forse per questo che l’Italia non mostra particolare entusiasmo. “Si poteva essere molti più ambiziosi”, sostiene il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Quello uscito fuori dopo una notte intera di confronto “è un compromesso, e non particolarmente esaltante”.
Il principio funzionale così come definito in via preliminare prevede che gli Stati membri partecipanti debbano presentare piani di riforme e investimenti “debitamente motivati” e dettagliati, comprendenti la stima dei costi degli investimenti e, “se del caso”, delle riforme strutturali, le giustificazioni per i costi stimati, nonché il calendario per l’attuazione delle riforme e le azioni chiave. La Commissione europea svolgerà una funzione di controllo dei piani nazionali e di attuazione delle riforme, e sulla base delle valutazioni si concederanno i fondi.