Bruxelles – L’avvio di negoziati per l’adesione di Albania e Macedonia del Nord all’UE non sarà a breve, e allora si tenta di salvare il salvabile, vale a dire la credibilità dell’Europa, cercando quantomeno di inserire nelle conclusioni del prossimo vertice dei leader riferimenti e passaggi all’impegno dell’Unione europea per accogliere nuovi membri quanto prima con la speranza che magari con l’autunno si creino le condizioni per dare a Tirana e Skopje quelle prospettive comunitarie inseguite da dieci anni anni e anche di più.
La Commissione europea ritiene che gli sforzi compiuti dai due Paesi candidati siano tali da giustificare l’apertura dei primi capitoli negoziali. Un’opinione non condivisa però da tutti i membri del Consiglio UE, dove serve l’unanimità per le questioni di allargamento. Gli Stati membri, com’è logico e naturale in una grande famiglia di 28 Paesi diversi, hanno differenti sensibilità. Così accade che c’è ancora qualcuno a nutrire riserve sulla necessità di fare passi avanti.
C’è la Germania, in particolare, a non avere ancora dato il suo benestare ad una nuova fase nelle relazioni con Albania e Macedonia del Nord. Un mancato via libera che mina l’affidabilità europea e che rischia di far spazientire i partner balcanici, ancora potenziali. “Sono dell’idea che dovremmo avviare negoziati di adesione sia con l’Albania sia con la Macedonia del Nord in linea con le raccomandazioni della Commissione”, vale a dire subito, in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE della prossima settimana, dice il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. “Purtroppo non tutti gli Stati membri sono pronti a prendere una simile decisione nei prossimi giorni”.
Una critica, quella di Tusk, rivolta in particolare a Berlino. I tedeschi dovranno spiegare la natura dei loro dubbi, e dire come uscire da una situazione che rischia contraccolpi, intenti ed esterni. Da una parte un gran parte di Paesi hanno firmato una dichiarazione politica congiunta che chiede di aprire le porte ai membri balcanici.
Austria, Bulgaria, Croazia, Estonia, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, hanno messo per iscritto la volontà di intavolare le trattative con Albania e Macedonia del Nord. Tredici Paesi su 28. Vuol dire che senza soluzioni accettabili l’Europa degli Stati sarebbe spaccata in due.
L’allargamento sarà tra i punti di confronto dei Ventotto il 18 giugno prossimo, quando si riunirà il consiglio Affari generali, chiamato anche a preparare il summit dei leader. La presidenza romena di turno intende avere un paragrafo sull’allargamento nelle conclusioni del vertice del Consiglio europeo del 20 e 21 giugno, ma non è chiaro se e quanto potrà riuscirci. Stabilito che non ci sarà una via libera come richiesto da Commissione è metà Consiglio, occorre quanto meno prevedere un impegno politico che confermi la volontà di lavorare con i governi di Skopje e Tirana.
C’è dunque la possibilità che l’UE si dia tempo, che approvi solo una parte delle conclusioni sull’allargamento e che decida di decidere in autunno, se tutto va bene e a meno di colpi di scena dell’ultima ora. E’ questa una delle ipotesi sul tavolo, assieme a quelle di rinviare tutto direttamente all’autunno o lasciare le conclusioni sull’allargamento solo a livello di ministri.
Tutto dipenderà dal lavoro degli sherpa in queste ore, e cosa deciderà la prossima settimana il consiglio Affari generali, quello che riunisce i ministri per gli Affari europei, che per l’Italia è incastonata nella figura del premier Giuseppe Conte da mesi, da quando Paolo Savona ha lasciato l’incarico per la presidenza della Consob.
Comunque vada l’Europa ha però già intaccato, e profondamente la propria credibilità agli occhi di albanesi, nord macedoni e non solo. “Questi Paesi hanno mandato tutti i segnali politici che l’UE stava aspettando”, ammette Tusk al termine dell’incontro con il presidente della Macedonia del nord, Stevo Pendarovski. Al quale però non ha niente da offrire in cambio degli sforzi profusi.