Bruxelles – Se un post su Facebook viene identificato come diffamatorio, il gestore della piattaforma di social network dovrebbe essere costretto a individuare tutti i commenti identici e rimuoverli. Queste sono le conclusioni dell’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea, Maciej Szpunar, sul caso di Eva Glawischnig-Piesczek, ex presidente del gruppo parlamentare dei Verdi austriaci all’epoca dei fatti, che aveva denunciato la pubblicazione di post diffamatori nei suoi confronti e chiesto ai giudici austriaci di emettere un’ordinanza cautelare nei confronti di Facebook per porre fine alla pubblicazione di un tali commenti.
Il fatto riguarda la condivisione da parte di un utente Facebook, sulla sua pagina personale, di un articolo online di un editoriale austriaco, creando così sulla piattaforma di social network un “riquadro anteprima” con la fotografia dell’ex portavoce federale dei Verdi. L’utente aveva pubblicato, inoltre, un commento diffamatorio nei suoi confronti, e tali contenuti potevano essere consultati da qualsiasi utente di Facebook. Per questo Il giudice di primo grado ha ordinato alla piattaforma di social network di disabilitare in Austria l’accesso al contenuto inizialmente pubblicato, ritenendo che le dichiarazioni esposte mirassero a ledere l’onore di Glawischnig-Piesczek, a ingiuriarla e a diffamarla.
Tuttavia la Corte Suprema austriaca è stata chiamata a decretare se il provvedimento inibitorio debba essere esteso anche a livello mondiale sulle dichiarazioni identiche e dal contenuto equivalente di cui Facebook non è a conoscenza, visto che la direttiva europea sul commercio elettronico non disciplina la portata territoriale di un obbligo di rimozione delle informazioni diffuse, non limitando così il fatto che la piattaforma di social network sia costretto a rimuovere le informazioni a livello mondiale.
L’avvocato della Corte di giustizia dell’Unione europea, interpellata sulle questione in merito tramite una domanda di pronuncia pregiudiziale, interpretando la direttiva in tal senso, identifica Facebook come non responsabile delle informazioni memorizzate da terzi sui suoi server ma, una volta venuta a conoscenza dell’illiceità, deve essere responsabile della rimozione o del blocco.
A giudizio dell’avvocato generale Szpunar, per garantire un giusto equilibrio tra i diritti fondamentali coinvolti, ossia la protezione della vita privata e dei diritti della personalità, è necessario che la direttiva sul commercio elettronico non ostacoli l’obbligo, emesso da un giudice mediante un provvedimento ingiuntivo, da parte del gestore di una piattaforma di social network, a dover ricercare e individuare, tra tutte le informazioni diffuse dagli utenti di tale piattaforma, le informazioni identiche a quella qualificata come illecita, così da disabilitarne l’accesso e renderle non più reperibili.
Ora starà alla Corte decidere, ma molto spesso le sue sentenze sono in linea con le conclusioni dell’Avvocato generale.