Il problema è sempre quello: il Mezzogiorno che rischia di essere penalizzato da scelte che non ne considerano la specificità e che appesantiscono il suo fardello di ritardi. E questo riguarda anche l’autonomia differenziata chiesta dalle Regioni del Nord, alle quali la si vuole concedere, mentre invece a livello centrale si è sordi alle richieste che vengono dal Sud.
C’è un problema “europeo” sulla questione, un problema che riguarda soprattutto il Mezzogiorno, che rischia di vedersi ancora una volta punito dalle politiche nazionali.
Per la Commissione europea, da noi interpellata, “non ci sono commenti da dare”, dice la portavoce per le questioni regionali Sophie Dupin De Saint Cyr, perché “non è materia di competenza della Commissione”. Basta l’esempio della questione catalana per chiarire quanto a Bruxelles si tengano lontani da scelte che riguardano l’autonomia interna degli Stati membri.
Però, cercando cercando nei corridoi delle istituzioni europee, qualche questione viene rilevata, non che riguardi Bruxelles, ma sulle possibili ricadute in Italia. Il tema è quello dei Fondi di coesione, quei soldi che arrivano dall’Unione europea per aiutare la crescita delle regioni, in particolare quelle in maggior ritardo di sviluppo, come il Mezzogiorno.
Il problema con l’Italia è che la programmazione dell’utilizzo dei fondi è fatta a livello centrale, anche se poi c’è autonomia nella gestione da parte delle Regioni, ma su programmi decisi a Roma, non nel territorio. “La questione è che si perde l’approccio locale, sfuggono spesso i bisogni reali… quello della programmazione centralizzata è sempre stato un problema per l’Italia, si perde il nesso tra necessità e investimenti. Se poi aggiungiamo le inefficienze nella gestione ecco che il problema diventa davvero complesso”, spiegano più fonti a Bruxelles, quasi all’unisono, usando le stesse parole.
Il tema dell’autonomia differenziata, da questa angolazione, va visto dal punto di vista degli investimenti. Se aumenta l’autonomia fiscale delle Regioni, di alcune Regioni, quelle poi più ricche, allora anche il cofinanziamento nazionale obbligatorio per i progetti europei ragionevolmente dovrebbe passare a livello regionale, il che vuol dire che questi Enti potranno anche gestire la programmazione degli interventi, eliminando le perdite di efficienza cui accennavamo prima.
A questo va aggiunto il programma della Commissione europea di ridurre il tasso di cofinanziamento europeo (che arriva al 75%, alle volte anche oltre) per questi programmi. Visto che la crisi economico/finanziaria è passata, si ragiona a Bruxelles, gli Stati possono fare di più da soli, con maggiori risorse nazionali. L’idea è anche che “se spendi più fondi tuoi sei più responsabile per il loro utilizzo”, e dopo decenni di pratica non dovrebbe essere una pretesa fuori dal mondo.
Cosa vuol dire questo per il Mezzogiorno? Vuol dire che l’autonomia differenziata con molte probabilità penalizzerà ancora di più le regioni del Sud, aggravando la differenza competitiva. Per due motivi precisi: se al Nord si potrà non solo spendere, ma anche programmare in autonomia, si risolverebbe almeno uno dei problemi individuati da Bruxelles, quello della perdita dell’approccio locale a bisogni e investimenti. Cosa buona e giusta per chi può approfittarne, ma che finirà per appesantire ancora il fardello delle regioni più in ritardo di sviluppo, che a quel punto, nella corsa con quelle del Nord per raggiungere una crescita equilibrata, dovranno correre ancora con un pesante fardello che ad altri è stato levato.
Il secondo motivo è che se diminuirà il contributo europeo, al Sud sarà molto più difficile trovare risorse “nazionali”, perché le imposte, chi non ha l’autonomia, le deve sempre pagare alle Stato, e da questo dipenderà per le erogazioni, e vista la storia e le difficoltà di bilancio non c’è da aspettarsi grandi aiuti. E se calano i contributi nazionali, parallelamente calano anche le possibilità di accedere ai finanziamenti europei.