L’arrembaggio, l’assalto barbaro urlante non è il sistema migliore per ottenere qualcosa in Europa. Per fare bene le cose ci vuole metodo, cosa che il governo italiano, storicamente, pur con qualche eccezione, ha usato poco. Lo sa bene il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che in una visita recente a Bruxelles ha spiegato il metodo migliore per ottenere nomine influenti nel sistema dell’Unione europea.
Già, perché le elezioni dell’Europarlamento appena passate e la prossima nuova Commissione portano con sé la necessità di scegliere i nuovi uomini e donne (speriamo più delle ultime volte) che prendano la guida di decine di uffici, più o meno visibili, più o meno prestigiosi, ma tutti preziosi a far funzionare la macchina. E a darle una direzione. Sarà una lotta accanita, guidata un po’ dai numeri che sono usciti in Parlamento e che usciranno nella prossima Commissione, e un po’ dalla capacità dei parlamentari e dei governi di trovare la strategia vincente per prendere ciò che desiderano.
Per l’Italia, lo diciamo subito, si parte male, non per colpa del governo in carica, ma perché guardando alle cariche che può vantare oggi il nostro Paese le cose possono solo andar peggio. A giudicare dalle posizioni dovremmo essere i “padroni d’Europa”, ma, nonostante i capolavori che, nell’interesse dell’Unione ma con chiari vantaggi per l’Italia, ha realizzato Mario Draghi, non è così.
Sono italiani, tra gli altri: il presidente del Parlamento (Antonio Tajani), l’Alta rappresentante per la Politica Estera e vice presidente della Commissione (Federica Mogherini), il presidente della Bce (Mario Draghi), il presidente della Commissione Affari economici del Parlamento (probabilmente la più importante, guidata da Roberto Gualtieri), il presidente del Comitato economico e sociale europeo (Luca Jahier), il Garante europeo per la protezione dei dati (Giovanni Buttarelli), il presidente del Consiglio di Vigilanza della Bce (Andrea Enria), una trentina di direttori generali, vice direttori generali e direttori della Commissione europea (tra i quali spiccano Marco Buti agli Affari economici, Roberto Viola al Digitale e Stefano Manservisi alla Cooperazione internazionale e Sviluppo) e sei o sette al Parlamento, dove abbiamo anche due vice presidenti (David Sassoli e Fabio Massimo Castaldo) e l’importante primo vice presidente della Commissione Agricoltura (Paolo De Castro).
L’elenco, come vedete e lungo, e sicuramente abbiamo dimenticato qualcuno. Forse non ve lo aspettavate.
Da qui alla fine dell’anno sarà tutto azzerato, a parte Enria, che è appena stato nominato in un posto chiave, decisamente “pesante”. Il 2 luglio prossimo si inizierà ad eleggere i leader delle varie posizioni parlamentari, per i quali la discussione, complicata, è aperta già da ieri sera dopo l’arrivo dei risultati, e con la riunione dei capi di Stato e di governo dell’Unione del 28 maggio, nella quale si è iniziato a discutere dei cosiddetti “top jobs”: presidente della Commissione, del Consiglio e Alto rappresentante per la politica estera. A ruota arriveranno poi le indicazioni dei commissari che avranno un lungo iter, dovranno passare l’esame delle commissioni parlamentari e poi ci sarà il voto della plenaria.
L’Italia, come accennavamo, ha tutto da perdere. E quasi impossibile che Tajani possa tornare a presiedere il Parlamento (a parte i risultati elettorali di Forza Italia, la sua ricandidatura è complicata dalle sue infelici frasi su Benito Mussolini). Il posto di Alto rappresentante non può essere ad appannaggio dell’Italia (che, d’altra parte, sembra non desiderarlo) e per il dopo Draghi non c’è nessun italiano nella lista dei candidati. In Parlamento è diverso ed alcuni parlamentari italiani (che saranno, in totale, circa il 10 per cento di tutti i deputati) godono di grande stima, il che potrà permettere a coloro che faranno parte della prossima maggioranza (ma non solo) di aspirare a posizioni di prestigio (e potere).
In Commissione, a parte il membro italiano del collegio, i funzionari all’inizio resteranno più o meno fermi nelle loro posizioni, qualcuno dovrà poi cambiare incarico perché è nella sua posizione da lungo tempo (c’è un limite indicativo di 5 anni nello stesso incarico, e ad esempio Buti è lì da sette). Ma ci sarà la fondamentale partita della formazione dei gabinetti dei commissari: uffici spesso decisivi, per i quali i negoziati sono estremamente complessi, visti anche i numeri di persone coinvolte (circa 200).
E qui entra in gioco il consiglio di Moavero, che vale dai top jobs a quelli più esecutivi: bisogna individuare la posizione utile alla quale si punta e poi trovare la persona adatta, alla quale è difficile dire di “no”. Sembra semplice, ma storicamente dall’Italia parte un arrembaggio selvaggio con tutti che raccomandano tutti, senza riuscire ad avere un coordinamento ed un quadro di insieme, il che rende il gioco facile a chi vuole escludere qualche candidato, perché spesso sono troppi e sostenuti da padrini diversi.
Ad esempio, Matteo Salvini ha detto in una recente assemblea di coltivatori diretti di essere interessato al portafoglio dell’Agricoltura. E’ certamente una posizione alla portata dell’Italia: un paese fondatore, un grande paese, un paese tra i più agricoli. Potrebbe riuscire ad avere un via libera dai partner nel negoziato politico (e dal nuovo presidente della Commissione) ma il candidato deve essere giusto: deve avere curriculum, deve essere conosciuto. Luca Zaia ad esempio è uno al quale non si potrebbe dire “no”: è stato ministro dell’Agricoltura, ha esperienza di governo nazionale e locale, è conosciuto. Le stesse caratteristiche più una lunga esperienza a Bruxelles può vantarle anche Paolo De Castro, ma essendo del PD difficilmente può essere un candidato di questo governo. Gian Marco Centinaio, il ministro in carica, ha un curriculum meno pesante di Zaia, e poi ha il neo di essere un fiero oppositore del Ceta, l’accordo di libero scambio tra Ue e Canada, che invece Bruxelles ritiene, a ragione secondo noi, un fiore all’occhiello.
Ecco, il meccanismo, a scendere per i vari incarichi, è questo. Certo, l’Italia qualche difficoltà negoziale ce l’ha, la sua posizione tendenzialmente aggressiva verso l’Unione, isolata (come si è visto anche nell’ultimo Consiglio europeo, quello sulle nomine, dove nessun suo collega ha voluto avere un incontro bilaterale con Giuseppe Conte) o con pochi “amici” nei governi non aiuterà nei vari negoziati. Ma ascoltare i suggerimenti, e magari dare spazio a persone come Moavero che l’Unione con i suoi meccanismi e i suoi pesi e contrappesi la conoscono a menadito, potrebbe aiutare.