Bruxelles – L’Unione Europea e i suoi Stati Membri dovrebbero essere perseguiti per la morte di migliaia di migranti annegati nel Mediterraneo in fuga dalla Libia. La denuncia di “crimini contro l’umanità” a carico dell’Europa è stata sporta alla Corte penale internazionale dell’Aia (CPI), ed è contenuta in un documento di 245 pagine redatto da un pool internazionale di avvocati.
I giuristi puntano il dito contro le decisioni prese per evitare che i richiedenti asilo arrivassero sul suolo europeo, additando come principali responsabili gli Stati dell’Unione che hanno svolto un ruolo di primo piano nella crisi dei rifugiati, ovvero Italia, Germania e Francia. Il documento, visionato e rilanciato da Guardian e da elPais, si basa anche su documenti interni di Frontex, l’Agenzia di guardia costiera e di frontiera europea.
La relazione non individua singoli politici o funzionari per responsabilità specifiche ma cita i diplomatici e i commenti dei leader nazionali, tra cui la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron.
Tra gli autori del dossier anche Juan Branco, avvocato e giornalista investigativo e un trascorso alla Corte dell’Aia e al ministero degli affari esteri francese, e Omer Shatz, un avvocato israeliano che insegna all’università di Parigi. Loro due, alla testa di quello gruppo internazionale di avvocati accusano funzionari e politici di aver consapevolmente creato la “via migratoria più letale del mondo”, dove oltre 12.000 persone sono andate incontro alla morte.
Questo pool chiede quindi perseguire la politica migratoria dell’UE basata sulla deterrenza dopo il 2014, considerata come “intesa a sacrificare la vita dei migranti in difficoltà nel Mediterraneo, con l’unico obiettivo di dissuadere altri in situazioni simili dal cercare un rifugio sicuro in Europa”. In tal senso il passaggio dalla politica italiana di salvataggio “Mare Nostrum”, la vasta operazione di ricerca e soccorso in mare sostituita con “Triton”, il cui obiettivo è controllate le frontiere nel mar Mediterraneo, viene identificata come un momento cruciale “che stabilisce indiscutibili mens rea (intenzioni mentali) per i reati ipotizzati”.
La politica di Triton, che copre solo una zona di 30 miglia nautiche dalla costa italiana di Lampedusa, lasciando scoperta una zona di pericolo di circa 40 miglia nautiche al largo delle coste libiche, ha introdotto “l’attacco più letale e organizzato contro la popolazione civile su cui la Corte penale internazionale ha giurisdizione”, afferma il documento legale. Per cui “i funzionari dell’Unione europea e degli Stati Membri avevano una piena conoscenza ed erano ben consapevoli delle conseguenze letali della loro condotta”.
Si sostiene, quindi, che le prove contenute nel dossier stabiliscono la responsabilità penale nell’ambito della giurisdizione della CPI per “causare la morte di migliaia di esseri umani all’anno, il respingimento, e quindi il ritorno forzato di decine di migliaia di migranti che tentano di fuggire dalla Libia e la successiva commissione di omicidio, deportazione, detenzione, schiavitù, tortura, stupro, persecuzione e altri atti disumani contro di loro”.
La Commissione europea prova a difendersi. Anzi, no. Si trincera dietro un “no comment”, il capo del servizio dei portavoce, Margaritis Schinas. “Non c’è alcun procedimento in corso”, dice. Eppure la denuncia è stata presentata. E’ Natasha Bertaud, portavoce del commissario per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, che prepara la difesa. Ricorda che non è l’esecutivo comunitario a sfruttare le tratte di essere umani, e ricorda che “salvare vite umane è la nostra priorità”, e che nel rispetto di questo obiettivo il team Juncker ha lavorato e lavora da quando è ‘esplosa’ la questione migratoria.
“Abbiamo lavorato nel rispetto dei diritti umani, e la nostra strategia volta a slavare quante più vite umane possibile parla da sola”. Bertaud poi critica l’Italia. “Fin dall’inizio abbiamo detto che porre fine a Mare Nostrum era un errore”. Ma è innegabile che tutti gli Stati membri dell’UE siano stati sempre d’accordo su rimpatri e politiche anti-ingresso in Europa. “Siamo pronti a cooperare con la Corte penale internazionale”, dice Bertaud. La parola alla Corte.