Il vento del cambiamento è passato nell’Unione europea. Non quello dei sovranisti, che ha soffiato debole e in molte direzioni diverse. E’ passato, forte, quello che ha tolto ai popolari la leadership della guida delle istituzioni e, ancor più, dei negoziati per formare una maggioranza istituzionale. Lo ha ammesso il capogruppo in Parlamento e (ex) candidato alla guida della Commissione, “non abbiamo avuto un gran risultato” e dunque “siamo aperto al compromesso” (che, in questo caso, è una parola di senso buono). Tolti dal tavolo i leader predestinati (e tolto anche, dai verdi, l’outsider di lusso Michel Barnier) si comincerà a discutere di programma, di cosa si vuol fare, e poi di donne o uomini adatti a realizzarlo. La maggioranza PPE-PSE (già saltata nella scorsa legislatura per un tentativo di svolta a destra dei popolari che alla lunga non ha pagato) è scomparsa, e lo si sapeva da tempo, ma ora sembra scomparsa anche l’arroganza dei numeri di socialisti e popolari. Si ricomincia a discutere, si ricomincia da quattro: popolari, socialisti, liberali e verdi, con la sinistra che non sembra tirarsi fuori del tutto. Si ricomincia a discutere, sì, ma non sarà semplice, ci vorrà tempo e forse molto. Può darsi che Jean-Claude Juncker debba mangiare il panettone a Bruxelles anche quest’anno.
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