Bruxelles – Per la nomina del prossimo presidente della Commissione europea “non ci sono automatismi, nessuno è escluso”. Donald Tusk conferma che la trattativa tutta politica per il rinnovo dei vertici delle istituzioni comunitarie potrebbe non tenere conto delle figure indicate dai partiti politici prima delle elezioni, ma non li esclude nemmeno a priori. Il presidente del Consiglio europeo dice chiaramente che tutte le opzioni sono sul tavolo. “Essere un candidato designato non è una discriminante, e magari potrebbe essere un valore aggiunto. Ma le regole sono chiare: il Consiglio deve proporre, il Parlamento deve nominare”.
In seno al Consiglio gli Stati membri sono divisi. Il Parlamento appare forse più convinto a dire che il processo degli Spitzenkandidaten, i candidati designati, dovrebbe essere rispettato. Non c’è stata una presa di posizione molto netta su questo, per la verità. Ma in Parlamento sono consapevoli che le divisioni tra Stati membri potrebbe rendere impossibile seguire la via proposta agli elettori. La Francia rifiuta l’idea degli Spitzenkandidaten, i Paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) dicono che il processo “non è considerato la Sacra Bibbia”, la Croazia è pronta a sfilarsi. “La posizione ufficiale del PPE è che sosteniamo il nostro candidato Mandref Weber, oggi”. Oggi, non per forza anche domani.
Il Parlamento sa che l’ipotesi può tramontare. Il presidente dell’Eurocamera, Antonio Tajani, dopo aver incontrato i leader ha difeso “il principio” degli Spitzenkandidaten. Che potrebbe reggere se dovesse emergere un consenso per Margrethe Vestager, commissario europeo uscente (Concorrenza), indicata dai liberali europei, donna, ritenuta una figura importante.
Di nomi non ne sono stati fatti. Tutti i leader, arrivando e andando via, hanno ribadito che non si è parlato di personalità nello specifico. Eppure le domande, e le risposte, su Vestager non sono mancate. Segno che qualcosa in quel senso si muove.
I capi di Stato e di governo preferiscono non scoprire le carte sul tavolo. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, però inizia a fare l’identikit di chi sarà chiamato a guidare il prossimo esecutivo comunitario. “Deve avere esperienza in diversi settori”. La danese, oggi a capo dell’Antitrust europeo, è stata ministro delle Finanze e ministro dell’Interno, oltre che vice primo ministro del suo Paese, e in questi cinque anni ha acquisito competenze in materia di concorrenza e funzionamento del mercato unico. Non un bagaglio da poco, tenuto conto che l’agenda politica strategica dell’UE per i prossimo anni (2019-2024) ruoterà attorno al completamento del mercato unico e dell’unione economica e monetaria, sicurezza (anti-terrorismo e immigrazione) e politica estera.
Tusk ha già ricevuto il mandato a negoziare con il Parlamento. Lo ha detto lui stesso, al termine del vertice informale dei leader. “Inizierò le consultazioni con il Parlamento europeo e con gli Stati membri”. Vuol dire che probabilmente qualche convergenza su qualcuno in particolare c’è.
Michel Barnier è un altro nome che risponde al profilo tracciato da Merkel. Ex commissario europeo (Mercato unico), già ministro per l’Agricoltura, Affari esteri, Affari europei, a capo del team negoziale per la Brexit.
Ma nomi oggi non ne sono stati fatti. Non ufficialmente almeno. Un po’ tutti hanno espresso l’auspicio che il vertice dei leader di giugno (20 e 21) sia quello decisivo per il rinnovo dei vertici istituzionali. Un ottimismo che può essere dettato dall’obbligo di provare a mostrarlo. O frutto di un accordo più alla portata del previsto.
Per l’Italia, come per tutti, la partita della nomina del commissario europeo è ancora in alto mare. Da notare però che il premier Giuseppe Conte è entrato al Consiglio dicendo che l’Italia “ha chances per recitare il ruolo che merita e rivendica le posizioni che merita”. Però dopo tre ora di riunione è uscito senza rispondere alle domande dei giornalisti. Forse non è un buon segno. Come non lo è il fatto che, a quanto si apprende, Conte è l’unico leader (con Theresa May, che però ha dichiarato il Regno Unito fuori dalla partita delle nomine) a non aver avuto alcun incontro bilaterale. E quando si deve negoziare, se non nessuno ti parla, diventa difficile farlo.