Bruxelles – L’elezione ‘più diretta’ del presidente della Commissione europea è un processo giunto su un binario morto. Gli ‘Spitzenkandidaten’, i candidati designati dai partiti europei per la guida della Commissione europea, sono stati accantonati da tutti. Ufficialmente no, ma nei fatti tutti hanno detto o lasciato intendere che la stagione dei candidati designati non è questa.
La riunione dei capigruppo (che in Parlamento europea si chiama ‘conferenza dei presidenti’) ha visto praticamente tutti dire timidamente che formalmente si vorrebbe che si tenesse conto delle indicazioni dei partiti europei, salvo poi dire che conterà altro. Il programma, innanzitutto. Lo dicono i Verdi, lo dicono i socialdemocratici (S&D), la sinistra radicale (GUE). I popolari, come da tradizione, sono “aperti ad ogni opzione”.
La dichiarazione prodotta al termine della riunione dei leader politici del Parlamento europeo si limita ad affermare che “sulla base dei risultati delle elezioni europee, i gruppi politici del Parlamento europeo terranno un dibattito strategico, trasparente e democratico al fine di preparare un mandato per la prossima Commissione europea”. L’esito di questo dibattito interno “servirà da base per il dialogo con il Consiglio europeo”. Si chiarisce poi che “il mandato per il cambiamento e l’agenda strategica del Consiglio europeo potrebbero essere consolidati, così da costituire una base solida per le nuove priorità della Commissione europea”.
Il riferimento agli Spitzenkandidat non c’è. Il presidente uscente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, spiega che “Manfred Weber è il candidato del PPE e noi rispettiamo il processo dei candidati”, salvo poi ricordare che per il processo di nomina della Commissione europea e del prossimo Parlamento europeo “ci sono i trattati e dobbiamo rispettarli”. Nei trattati non c’è alcun riferimento agli Spitzenkandidaten, frutto di una decisione politica presa nel 2014. “E’ una posizione di inizio del dialogo”, aggiunge Tajani.
E’ lo stesso Manfred Weber ad annunciare un passo indietro. “Siamo al punto di partenza. Il PPE non ha avuto un grande risultato… siamo pronti trovare un compromesso, a sedermi attorno a un tavolo e trovare la migliore soluzione” per tutti, dice il capogruppo dei popolari europei. Parole che sanno di resa.
Il leader dei socialdemocratici, Udo Bullmann, tiene il punto su Frans Timmermans, il che però “rompe” il gioco dello spitzenkandidat, in base al quel l’accordo tra i partiti è che si parte dal candidato del partito che ha avuto più voti, che sarebbe il PPE. Per ragioni del noto gioco della parti conferma che “sostiene” il candidato designato del suo partito, in attesa di un compromesso tutto da trovare. Però elenca la sua agenda politica, fatta di politica di contrasto ai cambiamenti climatici e “giustizia sociale”. E’ di fatto l’avvio del negoziato (decisamente aperto vero i verdi) sull’agenda. Quello che interessa un po’ a tutti.
“Accettiamo il principio per cui i candidati designati debbano provare” a correre per la presidenza della Commissione europea, “ma dobbiamo negoziare sul programma”, dice la capogruppo della GUE, Gabri Zimmer.
Una linea condivisa dai Verdi europei, che, spiega Ska Keller, ritengono che “il Consiglio europeo (quello che ha il potere di indicare il presidente della Commissione che poi dovrà avere la fiducia del Parlamento, ndr) deve rispettare la volontà dei cittadini. Si deve dare priorità ai temi ambientali e alla coesione sociale” (le spesse parola di Bullmann).
Philippe Lamberts, co-presidente del gruppo verde, dice di voler mantenere in vita il processo degli Spitzenkdanditen. Il problema è che “guardo i numeri, e una maggioranza senza PPE non è possibile, una maggioranza senza socialisti non è possibile, una maggioranza senza liberali non è possibile”. E i liberali “sono contrari” all’idea dello Spitzenkandidat. “Sono poco chiari – dice Keller – ma secondo me Margrethe Vestager è una candidata, come lei stessa ha annunciato”. Non è invece un candidato possibile per i verdi l’outsider Michel Barnier: “No” dice Keller.
Il capogruppo dei liberali, Guy Verhofstadt, è l’unico a non aver tenuto la conferenza stampa al termine della riunione. “Scelta personale”, dicono in Parlamento. Il belga ha preferito una nota ufficiale per dire di aver votato contro la dichiarazione dei capigruppo. “Sfortunatamente hanno ucciso la legittimità degli Spitzenkandidaten quando hanno votato contro le liste transnazionali (riforma sostenuta anche da Bullmann, ndr). Un candidato che non si può votare in tutta Europa non è semplicemente serio”.
Il documento che i capigruppo in Parlamento hanno prodotto per presentarsi in Consiglio è debole nei contenuti. Non c’è un sostegno chiaro e deciso al processo dei candidati designati, e questo fa il gioco dei leader, che a questo punto avranno mani ancora più libere nella decisione delle alte cariche istituzionali europee.