Bruxelles – Il miele degli europei non è europeo. E’ cinese, perlopiù, ma ad ogni modo è prodotto oltre i confini dell’Unione europea. Già, perché la domanda di miele delll’UE è superiore all’offerta. Il risultato è uno squilibrio nella bilancia commerciale è fortemente pronunciato. Nel 2018, stando ai dati Eurostat, le importazioni del prodotto sono state dieci volte i volumi delle esportazioni. L’UE ha acquistato dall’estero 208mila tonnellate di miele naturale, e ne ha vendute poco meno di 21mila. Ha pagato i suoi ordini 452 milioni di euro, a fronte di 119 milioni di euro di ricavi dagli scambi con il resto del mondo.
Il grosso delle importazioni dell’UE è rappresentato da miele ‘made in China’ (80mila tonnellate, pari al 39% dell’import), a cui si aggiunge quello proveniente dall’Ucraina (41mila tonnellate, 20%) e dall’Argentina (25mila tonnellate, pari al 12%). Sulla tavola degli europei anche miele di Messico (21mila tonnellate, 10%) e Cile (ottomila tonnellate, 4%).
A richiedere miele extra-continentale soprattutto Germania (60.291 tonnellate importante, pari al 29% del totale comunitario) e Regno Unito (45.099 tonnellate, 22%), seguite da Belgio (22.065 tonnellate, 11%), Polonia (20.685 tonnellate, 10%) e in Spagna (16.777 tonnellate, 8%).
Neppure l’Italia fa eccezione a questa tendenza tutta europea di consumare il miele altrui. Il Paese compra dall’estero oltre 27 mila tonnellate di prodotto, tra quello venduto da Stati extra-europei (8.753) e Paesi membri dell’UE (19.080), e vende quantitativi pari a un quinto dell’import (5.206 tonnellate).