Roma – Fondi strutturali Ue da erogare: a chi, e quanto. Un argomento che non manca già di infiammare il dibattito in vista delle imminenti elezioni europee ma che soprattutto caratterizzerà le scelte del nuovo parlamento.
La gestione del fondi e la sua ripartizione sia in termine di contributi che di erogazione non da oggi è al centro di aspre polemiche. La centralizzazione dei fondi è stata criticata – soprattutto dai Paesi con le più alte quote contributive – come dispendiosa e incoerente e i detrattori fanno notare come dopo più di trent’anni di interventi le disparità economiche e sociali all’interno dell’Unione non sono state ancora superate e contribuiscono anzi a indebolirne unità e stabilità.
E qual è la situazione italiana? “Sulla linea di confine tra Nord e Sud, che separa i luoghi delle opportunità da quelli dell’esclusione, l’Italia- rileva uno studio dell’ufficio Valutazione del Senato – si ritrova oggi con un primato non invidiabile: ha il valore più basso di sviluppo sociale nell’UE-15 e il suo Mezzogiorno, con venti milioni di abitanti, è la più grande area depressa del continente”.
Dall’inizio degli anni ’90 la politica di coesione è una delle politiche cardine dell’Unione europea per redistribuire la ricchezza tra regioni e Paesi e stimolare la crescita nelle aree in ritardo di sviluppo. Le sue risorse sono aumentate dai circa 160 miliardi iniziali di ECU agli attuali 352 miliardi di euro (un terzo del bilancio UE) per il periodo di programmazione 2014-2020. All’Italia ne sono stati destinati 46,5 che però in generale non sono stati sufficienti a dare slancio al nostro Paese. Prendendo come riferimento l’indice di progresso sociale, che tiene conto di una cinquantina di indicatori, l’italia si posizione ben al di sotto della media della Ue-15 (cioè i 15 Paesi “storici” prima dell’allargamento a 25 del maggio 2004) : 58,4% contro il 70,3. Peggio di noi solo la Grecia.
In Italia è difficile tradurre rapidamente ed efficacemente i finanziamenti in progetti ben implementati, “con decisioni politiche prese isolatamente e con una mancanza di adeguato coordinamento, cosa che può minare l’impatto di qualsiasi politica di sviluppo. L’Italia mostra infatti il più alto grado di dispersione delle spese per settore”, ricorda ancora l’ufficio Valutazioni del Senato..
Insomma l’Italia vede crescere la sua distanza dal cuore dell’Europa ormai da oltre un ventennio. È sempre più la linea di confine tra Nord e Sud, con il Mezzogiorno che resta la più grande area meno sviluppata del continente. Debole crescita nazionale e aumento dei divari regionali restano elementi con i quali fare i conti nei prossimi anni.
Che fare? L’ufficio Valutazione di Palazzo Madama individua un possibile percorso: “la politica di coesione potrà preservare il suo ruolo chiave anche dopo il 2020 solo se sarà in grado di dimostrare di essere una priorità economica per l’UE, garantire equità (correzione degli impatti asimmetrici delle varie politiche) ed efficienza (rimozione dei colli di bottiglia dello sviluppo), generare benefici economici commisurati ai suoi costi, e, soprattutto, funzionare bene in termini di impatti economici verificabili”
Che piega prenderà il dibattito nel nuovo Parlamento europeo? Ancora l’ufficio di Valutazione: “Il dibattito sul futuro delle politiche europee è reso più complesso dalle implicazioni economiche e politiche della grande recessione, dalla crescente pressione di partiti euroscettici e da mutamenti istituzionali senza precedenti nella struttura e nella composizione della UE”.