Bruxelles – Una persona che necessita di protezione internazionale perché rischia la vita nel proprio Paese di provenienza non può essere privato della protezione, neppure se si macchia di reati nel Paese in cui si trova ospitato. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’UE, pronunciando una sentenza destinata a far discutere, specie in quei Paesi membri dell’Unione dove il tema immigrazione è ‘caldo’.
I giudici di Lussemburgo chiariscono che in base al diritto europeo, un rifugiato in fuga da un Paese in cui rischia la tortura o altri trattamenti inumani non può essere rimpatriato neppure se lo status di rifugiato gli viene negato o revocato dallo Stato ospitante per motivi di sicurezza. Meglio in prigione in Europa che a piede libero nei loro Paesi, detto in sostanza.
Tutto nasce da due episodi in Belgio e Repubblica ceca. Qui cittadini extracomunitari si sono visti negare e revocare lo status di rifugiato perché a loro carico risultavano condanne per reati “particolarmente gravi”. Ma la Corte dell’UE adesso precisa che lo status formale e lo status sostanziale sono due cose diverse, e che “fintanto che il cittadino di un paese extra-UE o un apolide abbia un fondato timore di essere perseguitato nel suo paese di origine o di residenza, questa persona dev’essere qualificata come rifugiato ai sensi della direttiva e della Convenzione di Ginevra”. Questo, “indipendentemente” dal fatto che lo status di rifugiato ai sensi della direttiva le sia stato formalmente riconosciuto.
Il pronunciamento dei giudici di Lussemburgo, frutto di interpretazioni giuridiche, avrà inevitabilmente dei contraccolpi politici, soprattutto in un periodo di campagna elettorale come quello che l’Europa sta vivendo. Si fa strada l’idea che i cittadini extracomunitari siano ‘intoccabili’ e che non possano essere messi nella condizioni di delinquere.
“Il diritto dell’Unione riconosce ai rifugiati interessati una protezione internazionale più ampia di quella assicurata dalla convenzione” di Ginevra sui diritti umanitari, la quale esclude la possibilità di un respingimento verso un dove la sua vita o la sua libertà possano essere minacciate.