Roma – Chi fa la politica estera in Italia? Matteo Salvini secondo il 42 % degli italiani, segue il premier Conte e poi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il 16 %. Penultimo e ultimo in classifica il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi e Luigi di Maio. Che le decisioni passino davvero per il ministro dell’Interno e capo della Lega, non ha importanza. Questo è il sentiment registrato dalla ricerca elaborata dal Laboratorio di Analisi politiche e sociali dell’Università di Siena (LAPS), in collaborazione con l’Istituto Affari Internazionali (IAI).
Si tratta di un rapporto approfondito sulle opinioni della politica estera del nuovo governo gialloverde, da leggere anche in prospettiva europea e del voto delle prossime settimane. Dall’indagine, svolta nel mese di febbraio, emergono alcune novità, rispetto ai problemi più sentiti: si attenua l’interesse per il fenomeno migratorio e la difesa dei confini, aumenta la sensibilità per le politiche commerciali e del protezionismo con una maggiore attenzione per le nostre esportazioni.
In generale gli intervistati pensano che l’influenza dell’Italia nel mondo sia diminuita e che sia un Paese ai margini del gioco politico internazionale. Un’opinione che pesa ancora di più in ambito europeo e dove il governo Conte prende un secco quattro e mezzo, il voto più basso fra tutti gli ambiti di intervento. Rispetto al governo precedente che nel 2017 era in piena fase di declino, i voti aumentano di poco, tutti comunque sotto la sufficienza. Il giudizio naturalmente cambia ed è positivo per gli elettori dei partiti di governo ma il dato generale è che per il 42 % la politica estera non sia cambiata molto e per il 36 % siamo più isolati che in passato. Vale specialmente per le politiche dell’immigrazione dove per il 62 % ci sentiamo trattati ingiustamente, opinione che scende al 54 % per le politiche di bilancio.
La “sindrome di Calimero” per gli italiani non è una novità ma emerge con forza quando i problemi sono complessi e la direzione sovranista mostra i suoi limiti. Vista la brutta fine della Brexit, lo spirito europeista resiste, in quello che gli esperti dello IAI e del LAPS definiscono con qualche benevolenza un approccio realista e pragmatico. Più probabilmente opportunistico, ovvero “l’Europa si faccia gli affari suoi, a casa nostra decidiamo noi, salvo levarci dai guai quando siamo in difficoltà”. Gli intervistati non vogliono rotture traumatiche e già in previsione della prossima legge di bilancio non vorrebbero ripetere il braccio di ferro con la Commissione, e nel caso di peggioramento dei nostri conti pubblici per il 68% il governo deve trovare un compromesso sulle misure di austerity. L’Eurozona è un porto ancora sicuro seppure oltre il 40 % pensa che la colpa del debito italiano sia della moneta unica.
Le prospettive sul voto di maggio mettono in luce una grande aspettativa degli italiani per le future politiche di Bruxelles. Due terzi degli intervistati pensano che nel prossimo Parlamento sia possibile cambiare sostanzialmente l’assetto dell’UE e che questo cambio radicale sia in una direzione sovranista, restituendo maggiori poteri agli stati membri, mentre solo il 36 % ritiene che deve esserci una maggiore integrazione. Opinioni che si riflettono in parte anche nelle future alleanze: il 44 % ritiene che l’Italia debba mantenere la propria libertà di azione nell’Unione Europea senza allearsi con nessuno, mentre solo l’8% propende per andare ad abbracciare i paesi di Visegrad e gli euroscettici.