Bruxelles – Unione europea e Cina, la cooperazione e le intese in linea di principio ci sono. Ora non resta che vedere se e quanto si tradurranno in pratica. Il senso dell’atteso summit bilaterale è tutto qui, nell’area cordiale e distesa che si respira nel leggere la nota conclusiva dell’evento, e le incognite legate al seguito che la stessa potrà avere. “Il vertice di oggi è un grande passo avanti nella giusta direzione, ma gli impegni hanno un valore solo se si rispettano, e questo è quello che dobbiamo fare nei mesi a venire”, la chiosa del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, al termine di un incontro che di sorprese ne ha riservate non poche.
Prima fra tutte la nota congiunta. A Bruxelles in pochi erano pronti a scommettere che le due parti avrebbero trovato una quadra sulle parole con cui riempire le pagine bianche fino all’ultimo momento. C’era chi era pronto persino a scommettere che tutto sarebbe stato lasciato alla vecchia dichiarazione di un anno fa, quella di luglio 2018. Invece alla l’Europa ha trovato con il suo interlocutore, forse da un oggi un po’ partner, il documento che evita brutte figure.
Non ne evita però il Consiglio dell’UE, l’istituzione responsabile degli onori di casa. Una casa tutta nuova, eppure già malandata. La conferenza stampa d’occasione è stata ospitata nella sala conferenza dell’Europa building, meno capiente di quella dell’edificio comunicante. Morale: tanti giornalisti sono rimasti in piedi. E con il primo ministro cinese, Li Keqiang, a parlare nella sua lingua, il servizio di traduzione diventa imprescindibile. Ma l’apposito auricolare è incorporato nei sedili, e chi è in piedi causa errore di valutazione di partecipazione stampa, deve ricorrere al sistema di trasmissione streaming. Che però non offre la traduzione del cinese mentre parla il premier cinese. “Problema tecnico”, faranno sapere poi dal Consiglio. Si pensa male. Ma non si può dimostrare il contrario né altro, e dunque fa fede la spiegazione ufficiale. Che comunque non fa onore alle funzionalità dei servizi e dell’organizzazione ‘made in EU’.
La nota, si diceva. “Non è stato facile”, ammette il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ma si è portato a casa un documento di sette pagine. Qui si trova la comune volontà di lavorare assieme alla questione delle indicazioni d’origine, i famosi marchi IGP, DOP e affini tanto caro al ‘made in’, soprattutto quello italiano. L’obiettivo è continuare a lavorare assieme per sciogliere tutti i nodi ancora non sciolti, e trovare un’intesa “nel 2019”. Clima, tema su cui la Cina offre la propria disponibilità e si impegna a lavorare assieme all’UE “per un risultato di successo dei vertici delle Nazioni Unite di settembre 2019”, quelli sul clima e sullo sviluppo sostenibile.
Ancora, Unione europea e Repubblica popolare cinese riconoscono che quello della sovra-capacità dell’acciaio “è un problema globale”. Una vittoria per Pechino, messa all’indice per la sua produzione eccessiva dalla comunità internazionale, componente europea inclusa. Entrambe le parti faranno un nuovo punto della situazione “entro giugno 2019”, molto presto quindi.
Si è parlato di 5G, argomento per nulla tabù nonostante le preoccupazioni per le operazioni di Huawei all’interno delle reti di telecomunicazione europee. Le due parti intendono sviluppare sviluppare “meccanismi di lavoro” sulla base della dichiarazione congiunta del 2015, documento lì a provare che parlare dell’argomento non è un’eresia. Però, chiarisce Juncker, occorre “combinare l’innovazione con la sicurezza, che di pari passo”. Un riferimento a Huawei, neanche troppo velato. “L’UE non prende di mira venditori o fornitori specifici”, dice il presidente della Commissione europea. “Rispettiamo le regole degli Stati in cui operano le nostre imprese”, la replica del premier cinese, che dà assicurazione anche circa la questione delle barriere al commercio.
Li Keqian indica che “a giugno” sarà pubblicata una lista di settori nei quali non ci sarà libera apertura gli investimenti dall’estero. Quelli che non vi compariranno saranno aperti all’investimento. In più, Pechino annuncia la disponibilità a ridiscutere le regole internazionali sui sussidi industriali. “E’ una svolta”, gioisce Tusk. “E’ la prima volta che la Cina concorda di impegnarsi con l’UE su questo”.